Il recupero di un nido d’api su un albero
Le api quando sciamano abbandonano l’alveare librandosi nell’aria in modo frenetico e turbolento, ma dopo un momento d’agitazione si riuniscono in un punto preciso, sul quale si è andata a posare la regina, che può essere un ramo o la fronda di un albero; quando si sono tutte riunite in grappolo il ronzio cessa e si calmano.
Da questo momento in poi le api esploratrici intensificano la ricerca, già iniziata da vari giorni, nella zona circostante all’alveare, per individuare una nuova dimora definitiva. Una volta individuata la comunicano alle altre esploratrici, attraverso la danza le invogliano ad esplorare la dimora trovata; se anche queste api la trovano di proprio gradimento al ritorno si uniscono anch’esse alla danza.
Così facendo si possono formare vari gruppi d’esploratrici di cui ognuno cerca di imporre alle altre sorelle o sorellastre la dimora da loro scelta; quando non riescono a trovare un accordo sulla dimora definitiva, lo sciame decide di fermarsi nel posto dove si è riunito ed incomincia a costruire i nuovi favi, (foto 1) non rendendosi conto, per non aver trovato un accordo, che quella dimora definitiva scelta all’aperto li porterà nel giro di una stagione invernale a morte certa. Alle api, forse, non è noto un proverbio che dice “ meglio un cattivo accordo che una causa vinta”
Questa decisione, così ardua, è stata presa da uno sciame, in primavera, che si era andato ad appoggiare a circa 3.00 m da terra su un ramo di una pianta di Leccio Quercus ilex L.(Fagaceae) in una zona fortemente in declivio, nella proprietà del Demanio Forestale adiacente alla SP13 che collega Capaccio con Monteforte Cilento, in Località S. Croce (SA). Questo sciame, dato il luogo, il posto e la temperatura che si abbassava in quelle zone sotto lo zero, era destinato in futuro a soccombere nel corso dell’inverno.
Per questo si decise di salvarlo, anche nella seconda decade di novembre, indipendente dal lavoro e dal tempo che si potesse impiegare, per offrirgli un riparo più adeguato alle intemperie.
Giunti sul posto, dopo un’accurata ispezione del ramo, del nido e della sua posizione rispetto al suolo, constatato che il terreno era fortemente in pendenza e vi erano rischi d’equilibrio per gli operatori sulla scala, si decise di eseguire tutte le operazioni per recuperare il nido d’api lavorando da terra.
Una raccomandazione, che non mi stanco mai di rinnovarla, è che quando si raccolgono gli sciami da posti pericolosi, le attrezzature devono essere sempre collocate e installate a regola d’arte. La ragione è semplice: il valore dello sciame recuperato non compenserà mai un eventuale infortunio sul lavoro.
Le operazioni di recupero iniziarono, appoggiando la scala e legandola saldamente al ramo, dove si trovava il nido. Il ramo fu poi legato con una fune che fu fatta passare su un altro ramo, posto più in alto del nido, che avrebbe avuto la funzione di carrucola. Poi con una comune forbice per potare fu isolato il nido d’api da tutti gli altri ramoscelli e il ramo da altri rami che potevano ostacolare la discesa del complesso ramo-nido a terra. Infine si procedette al taglio del ramo con una sega ( foto 2) e fu scarrucolato verso il basso con estrema dolcezza per non far cadere le api che vi erano sopra, fermandolo a circa un metro dal terreno, per poter lavorare a ridosso del nido comodamente senza problemi.

A terra i favi furono ispezionati minuziosamente con cura, trovandoli privi di provviste e covata; dato le temperature fredde di quelle zone, la regina aveva già smesso di deporre, mentre il colore chiaro dei favi esterni c’indicava che il nido non aveva più di un anno d’età. Infine, quando fu accertato che non vi erano malattie in atto si passò al recupero vero e proprio.
Furono tagliati prima i favi vuoti, senza le api sopra, e raccolti in un recipiente per non rischiare di innescare un saccheggio, fino ad arrivare ai favi interni, dove le api avevano già formato il glomere a causa della temperatura già fredda in quella zona. Sono stati poi tagliati i favi con tutte le api sopra delicatamente per non farli cadere a terra (foto 3) e procedendo al loro ingabbiamento in un telaino da nido vuoto, rispettando sempre la posizione naturale che aveva all’interno del nido, ed inseriti nel pigliasciame (foto 4).

Il telaino da nido vuoto ha, sulle due facciate, della rete zincata a maglie larghe, facilmente asportabile e incastrabile. Questa è mantenuta in verticale e aderente al telaino, piegando l’estremità della rete a 90° ed incastrandola nei forellini fatti nella cornice di legno del telaino.
Per rendere più agevole l’innesto dei favi, è tolta una parete di rete zincata; quando il telaino è completo di favi naturali, con una leggera pressione delle dita s’incastra la rete in precedenza asportata. Questo sistema del telaino ingabbiato è il migliore in senso assoluto, per quanto mi ha dimostrato la mia esperienza, perché tutte le operazioni avvengono in modo rapido e veloce. Rispetto al sistema tradizionale, che prevede la legatura dei favi nel telaino da nido con filo di rafia naturale o spago, questo sistema riduce, il tempo per innestare i favi dentro il telaino, il rischio del saccheggio e il raffreddamento della covata.

Il pigliasciame rimase a terra, distante alcuni metri dal posto dove era collocato il nido, fino a tarda sera, per raccogliere le bottinatrici che tornavano dai campi e le api che si erano alzate in volo durante il trambusto (foto 5). Non ci furono problemi nel recupero perchè, anche se non fu notata la regina durante il taglio dei favi, s'intuiva che era stata catturata dal comportamento delle api che si precipitavano senza indugio nel pigliasciame.
Il nido recuperato, durante la serata, fu trasportato in un apiario distante oltre 6 km dalla zona del recupero. In letteratura si consiglia una distanza minima di tre km, che io personalmente non approvo. Il giorno dopo fu aperto, per costatare se vi era la regina e se durante il viaggio, i favi ingabbiati avevano creati dei problemi alle api. E’ stata notata la regina, quindi si può considerare che il recupero sia andato a buon fine (foto 6). Durante il normale controllo sono stati inseriti, nel pigliasciame, telaini pieni di miele e polline e due diaframmi laterali al nido in modo che durante l’inverno rimanessero più calde.
Dopo la visita al nido è stato fatto un trattamento contro la varroa, per mezzo di una siringa per uso veterinario, gocciolando 5 ml. di soluzione, per ogni favo Dadant- Blatt coperto d’api nell’intercapedine dei telaini, alla seguente dose ( 1000 ml d’acqua distillata + 400 grammi di zucchero + 80 grammi d'acido ossalico). In assenza di covata come in questo caso, si raggiunge anche un’efficace superiora al 95%.
Terminando, si consiglia sempre, per avere favi perfetti, di spostare in primavera i telaini ingabbiati ai lati dell’alveare per poi sostituirli con telaini con foglio cereo o favi costruiti.


Apisticamente Angrisani ing. Pasquale pasquale.angrisani@libero.it