Apicoltori sopra il vulcano
Conapi è una cooperativa di 250 apicoltori con sede a Monterenzio, che si è sempre distinta per l'impegno verso il biologico e il commercio equo e solidale.Quando a dicembre ho ricevuto la telefonata del presidente Lucio Cavazzoni che mi chiedeva di intraprendere un viaggio per incontrare i produttori di due Presìdi Slow Food in Etiopia, ho accettato senza esitazioni, con la consapevolezza di poter portare il contributo di un produttore più che di un tecnico apistico
Maxence Fermine, nel suo romanzo L'apicoltore, racconta di una luce che tradisce un pizzico di follia, dell'oro negli occhi di quegli uomini che hanno scelto di dedicarsi alla raccolta del miele, condividendo la vita con il più nobile degli insetti. Io non ero mai stato in Africa, ma sapevo che avrei trovato quella luce...
Il 12 gennaio si parte per Addis Abeba. Mi accompagna Paolo Bolzacchini, responsabile dei Presìdi etiopi.
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Il miele di Wenchi
Partiamo per Wenchi il 14 gennaio. Dopo due ore di auto con le arnie a bordo arriviamo a Weliso, la città che fungerà da base per i giorni di lavoro sul vulcano. Da qui una strada sterrata si inerpica per 36 chilometri fino al villagio di Wenchi dove,nella sede dell'associazione di ecoturismo Weta, incontriamo i primi apicoltori del Presidio Weta, costituitasi grazie a un progetto finanziato da Cooperazione tedesca (Gkz), raccoglie gli abitanti dei villaggi interni al cratere di Wenchi e conta 194 soci.L'associazione è suddivisa in 11 sottogruppi che si occupano della gestione delle risorse del vulcano: gli apicoltori ammontano a 26 membri.
Scaricato il materiale acquistato per il Presidio(21 arnie razionali a tre elementi, uno smielatore tangenziale a tre favi, due pacchi di fogli di cera prestampati), Paolo illustra lo scopo della missione a una platea attenta, mentre io mi scopro a fissare le persone dai tratti somatici decisi e affilati, il pavimento di sterco pressato coperto di paglia, i muri di fango e i tetti di frasche di falso banano. Il paesaggio del vulcano è di grande bellezza. Il cratere ospita un lago dalle acque blu intenso e lo sovrasta un anello di pendii scoscesi e verdissimi. La vegetazione fitta e rigogliosa, nonostante l'altitudine sia di quasi 3500 metri, è composta da falsi banani, eucalipti, eriche arboree, abeti, rose selvatiche e da un gran numero di specie che non sono riuscito a identificare
Il presidente del Weta ci mostra con orgoglio il miele prodotto dalle api del vulcano, un secchio di plastica contenente porzioni di favi colmi di un miele rosso, molto aromatico, con un retrogusto amarognolo, bottinato in gran parte sugli abbondanti pascoli di erica, ma con presenza di altri nettari che concorrono a rendere unico questo prodotto. Sul retro della sede, vedo da vicino l'arnia tradizionale, un fusto cilindrico del diametro di circa 30 centimetri, costruito in canne di bambù e foglie di falso banano, con un disco di legno forato a un'estremità e, a occludere l'altra, della paglia facilmente rimovibile al momento dell'estrazione.
Il giorno seguente visitiamo gli alveari posti nell'apiario adiacente il locale dell'associazione. Fin dall'inizio appare chiaro che non è possibile realizzare il travaso dei bugni(arnie tradizionali circolari) nelle arnie radizionali. Tale operazione, infatti, va effettuata sempre sotto raccolto o comunque con un buon flusso nettarifero. Questa è invece una stagione di 'carestia', tanto da indurre le regine a ridurre la covata fino al blocco totale.
Poi, di fronte a una decina di soci, inizio il lavoro di formazione, illustrando il funzionamento dell'arnia razionale:spiego la differenza tra nido e melario e l'importanza di mantenere i due settori separati per ottenere una buona produzione di miele di qualità. Vista la grande partecipazione, cerco di capire dai soci quale sia il loro livello di conoscenza tecnica, quali i problemi e le possibili soluzioni. Nel dibattito emergono Mangiste Bogkala e Wakuma Ango, che animano la discussione con domande pertinenti e tutt'altro che banali.
Il censimento degli alveari
Al mio arrivo all'ufficio, il giorno seguente, trovo ad aspettarmi un numero ancora maggiore di soci, tutti armati di block-notes e penna. Ripercorro per i nuovi arrivati i passi salienti del lavoro del giorno prima e cominciamo a stilare la lista dei soci per censire gli alveari.
Accompagnato da Wakuma Ango e da altri due apicoltori, inizio la visita degli apiari. Le arnie (tradizionali e razionali) sono poste su piccoli spiazzi di terra a strapiombo sui dirupi: il loro difficile accesso è motivato dal timore di furti. In genere, ogni apiario è formato da non più di quattro o cinque alveari e, per raggiungerli, è necessario almeno un'ora di marcia su stretti sentieri di montagna. Le famiglie sono in buone condizioni e al termine della mattinata abbiamo visionato 22 alveari tradizionali e razionali appartenenti a nove soci.
All'una, Wakuma ci offre il pranzo nel suo ristorante. Una buonissima injera con lenticchie cucinate in due modi diversi, seguita dalla cerimonia del caffè. Per il pomeriggio mi propone di andare a estrarre il miele dai suoi alveari tradizionali; quindi ci avviamo, armati di scala a pioli, paletta di legno, coltello e bacinella.
Arrivati sul posto indossiamo tute, maschere e guanti in quanto ci stiamo apprestando a effettuare in pieno giorno un'operazione solitamente eseguita col buio. La scala è posta su un sentiero quattro metri sotto l'apiario e io inizio l'operazione di prelievo senza utilizzare del fumo, allontanando con le foglie le api rimaste sui favi.Riusciamo a estrarre il miele da un bugno di sei sette chili quando siamo costretti a rinunciare per via di una famiglia particolarmente aggressiva che ci impedisce di continuare.
Giunti al ristorante, il miele è sistemato su un piatto intorno al quale si radunano passanti, bambini e la famiglia dell'apicoltore. Ma nessuno si muove, c'è un rito da soddisfare. Chi ha lavorato per portare a casa il miele deve assaggiarlo per primo: ne mangiamo noi due e, quindi, possiamo offrirlo a tutti gli altri.
La formazione
Le nozioni apistiche dei soci sono piuttoste limitate: l'uso dell'arnia tradizionale unita all'aggressività delle api non hanno permesso loro di approfondire la conoscenza della vita dell'alveare. Quando parlo dei maschi , i fuchi, non mi capiscono, ma dicono che nell'alveare c'è un'operaia più grossa delle altre che non punge e ha il compito di portare da bere alla regina. Secondo gli apicoltori di Wenchi le colonie non sono mai orfane, le regine si nascondono per non farsi vedere. Queste e altre osservazioni mi inducono a optare per una lezione con disegni esplicativi e commento, tradotto dall'interprete in aramaico, sul ciclo vitale delle api, la fecondazione della regina e la risoluzione dei problemi più comuni.
In un secondo momento si discute del ruolo dell'associazione e di che cosa comporta avviare un Presidio Slow Food: condividere informazioni e conoscenze, non ragionare come singoli individui ma come parte di un disegno più ampio. Il gruppo degli apicoltori possiede un regolamento sottoscritto da tutti i soci, molto essenziale ma assolutamente funzionale, al quale chiediamo sia aggiunto l'obbligo della filtrazione del miele in modo da ottenere un prodotto uniforme e pulito.
Esauriti i nostri compiti e giunto il giorno della partenza, saliamo in auto promettendo di ritornare per il prossimo raccolto. Scendendo dal vulcano ripenso a Wakuma, al fatto che ci siamo lasciati come due amici che hanno condiviso esperienze e che sanno che si incontreranno di nuovo.
Diego Pagani e Rosy Sinicropi *Slow Food
tratto da 'scritto e mangiato' supplemento de il manifesto