La mortalità delle api danneggia anche la ricerca
"Se l'ape scomparisse dalla faccia della terra, all'uomo non resterebbero che quattro anni di vita" scrisse Albert Einstein. Non siamo ancora, fortunatamente, a questo punto ma certo il Colony Collapse Desease, cioè il collasso delle arnie, impensierisce notevolmente apicoltori, entomologi e altri studiosi. Verificatosi inizialmente negli Stati Uniti e, successivamente, in Argentina e Uruguay, e poi in Europa (anche l'Italia ne è colpita) il fenomeno è causato dal fatto che le api non riescono più a tornare alle arnie, sciamano fuori dagli alveari e muoiono; all'interno dell'arnia rimane la sola ape regina.

Le cause vanno ricercate nei cambiamenti climatici, nelle onde elettromagnetiche (tra cui quelle dei telefonini), nell'inquinamento ambientale. L'alta mortalità delle api è anche causata dall'uso di insetticidi. Il danno derivante dalla perdita delle api, di quelle "bottinatrici" (raccolgono il nettare e il polline dai fiori), è la mancanza dell'impollinazione che non permette più a numerosissime specie vegetali di riprodursi. Tra i prodotti delle api, oltre alla propoli e alla pappa reale, un posto di primo piano spetta al miele che, negli ultimi anni, sta acquisendo un ruolo "medico" sempre più rilevante; basti pensare al suo recente impiego nel trattamento delle ferite.

Il Journal of Laryngology and Otology (maggio 2008) pubblica uno studio effettuato per valutare l'efficacia del miele puro come profilassi nelle mucosità provocate dalla radiochemioterapia. La sperimentazione, condotta da medici egiziani e agronomi (Dipartimento di Otorinolaringoiatria, Oncologia, Clinica patologica dall'Assiut University), è stata effettuata su quaranta persone affette da tumori che interessavano la testa e la nuca. Al gruppo di pazienti ai quali era stato applicato localmente del miele puro, la sperimentazione dimostrò, rispetto all'altro gruppo non trattato allo stesso modo, che il miele ha efficacia nel ridurre le mucosità orali: complicanze derivate da radio e chemioterapia.

L'altra buona notizia sul miele viene dal Centro di Ricerca Cardiovascolare della Mashhad University in Iran. Lo studio iraniano mirava a valutare gli effetti dell'assunzione di miele sui livelli di colesterolo totale , di quello LDL ("colesterolo cattivo") e dell'HDL ("colesterolo buono"), dei trigliceridi, della proteina C-reattiva, della glicemia, e sul peso corporeo.

Dalla sperimentazione risultò che il miele riduceva i valori del colesterolo totale, dell'LDL, della proteina C-reattiva e del glucosio, mentre aumentava il "colesterolo buono" HDL.

Secondo gli studiosi autori della ricerca (Scientific World Journal, 2008) il corretto consumo di miele riduce dunque i fattori di rischio cardiovascolare e non aumenta il peso corporeo.

di Roberto Suozzi
----> da http://www.repubblica.it/supplementi/salute/2008/06/05/benessereterapienonconvenzionali/048erb58348.html