Le api nell’araldica civica italiana 6/6
di Renzo Barbattini* *Dipartimento di Biologia e Protezione delle Piante – Università di Udine

SARDEGNA

Comune di Alà dei Sardi (OT)
Lo stemma e il gonfalone (art. 4 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 29 del 21/6/2000) sono stati concessi nel 1999 dal Presidente della Repubblica C. A. Ciampi. Le figure presenti nello stemma richiamano gli elementi su cui si fonda tradizionalmente l’economia del Comune e cioè il grano, il sughero, l’allevamento delle pecore e l’apicoltura (CECCOMORI, 2005). Infatti, nel vasto territorio di Alà dei Sardi, ricco di flora, le api producono una gran quantità di miele (dolce o amaro di corbezzolo, FLORIS e SATTA, 2007) di ottima qualità.
Per la simbologia araldica, queste figure rappresentano:
la spiga l’abbondanza (la sicura ricompensa al lavoro) e la pace;
la quercia la forza e la potenza, la nobiltà, l’antico dominio, nonché un richiamo ai suoi “prodotti” (ghiande e sughero);
la pecora i vasti possedimenti, atti alla pastorizia, e la mansuetudine;
l’ape l’operosità degli abitanti alaesi.



Comune di Monti (OT)
Lo stemma è stato riconosciuto con D.P.C.M. n° 2187 del 31/03/1983. Questo centro agricolo, posto all’intersecazione di vie di comunicazione tra le regioni di Gallura, Logudoro e Barbagia, è importante per la produzione del pregiato vino Vermentino (CECCOMORI, 2005). Ad essa, infatti, allude la torre dello stemma avvolta da una vite “fruttifera” di grappoli d’oro; alla torre sono associati tradizionali simboli dell’agricoltura (le spighe) e dell’operosità dell’uomo (l’alveare con le api).


Comune di Padru (OT)
Lo stemma civico (art. 2 dello Statuto, deliberazioni C.C. n. 31 del 23/10/1997 e n. 43 del 16/12/1997) porta, superiormente, due grappoli d’uva e un’ape1 e, inferiormente, in verde, il rilievo del Monte Nieddu; le due parti (in campo rosso e in campo azzurro) sono suddivise da una fascia dorata (CECCOMORI, 2005). Il Comune vive della sua economia agro-pastorale: tra le attività agricole particolarmente diffuse sono la viticoltura (le varietà vinicole presenti sono il Vermentino, il Cannonau, la Vernaccia e l’Aleatico) e l’apicoltura.
1. Il fatto che l’ape e i grappoli siano vicini può suscitare alcune perplessità. La prima può far credere che la vite abbia bisogno dell’intervento dell’ape per essere impollinata; essa, invece, è un vegetale dall’irrilevante secrezione di nettare e i suoi fiori sono visitati solo per la raccolta di polline (BARBATTINI, 1995). La seconda è che l’ape possa provocare, con il proprio apparato boccale, lesioni agli acini. Ciò è falso, in quanto essa, essendo dotata di mandibole dal bordo arrotondato, è incapace di lacerare superfici continue quale l’epidermide degli acini (FRILLI et al., 2001).


APPENDICE
Si illustrano anche gli stemmi delle province di Livorno (Toscana) e di Terni (Umbria).

Provincia di Livorno
Lo stemma (art. 2 dello Statuto, deliberazione. n. 25 del 14/2/2002) merita una sottolineatura (per questo e per gli stemmi di Comuni toscani sopra illustrati, si veda l’opera coordinata dall’UNITÀ EDITORIA DELLA GIUNTA REGIONALE pubblicata nel 1995).
Nella parte superiore dell’emblema viene riportata la prima bandiera napoleonica dell'isola d'Elba2 : una banda (cioè una striscia inclinata in basso verso destra) rossa in campo bianco con tre api dorate 3 che rappresentano la laboriosità degli elbani e i tre porti all’epoca più importanti: Portoferraio, Rio Marina (entrambi legati al trasporto del ferro) e Marciana Marina (porto utilizzato per il commercio di prodotti agricoli e soprattutto del vino).Nella parte inferiore è riportato la fortezza Vecchia di Livorno (degli inizi del 1600) che esce dal mare, la cui torre destra porta una bandiera bifida bianca con la scritta “Fides” (Regio decreto del 23 febbraio 1902).
2. Pare che Napoleone l'avesse fatta confezionare per il suo piccolo regno a bordo del vascello inglese. Essa fu issata sull'isola il 4 maggio 1814, giorno dello sbarco dell’imperatore a Portoferraio, e ammainata il 1° marzo 1815, quando egli toccò il suolo francese a Cap d'Antibes per l'ultima avventura. Oggi, inalterata, è ancora la bandiera locale dell'Elba. Essa è conservata presso il Museo Napoleonico Villa dei Mulini (Portoferraio) (così chiamata per la sua antica struttura che presentava due mulini a vento) che ha ospitato Napoleone nei dieci mesi di sua permanenza elbana, dal 4 maggio 1814 al 26 febbraio 1815.
3.Al posto dei gigli dei Borbone, Napoleone adottò come emblema personale le api, simbolo d’immortalità e resurrezione. L’ispirazione era venuta ricordando l’offerta sepolcrale di centinaia d’api dorate - in realtà delle cicale! - scoperta nella tomba del re merovingio Childerico I, a Tournai, nel 1653 (se ne conservano due esemplari nella Biblioteca Nazionale di Parigi). Dal momento che Childerico era stato il fondatore della dinastia merovingia, le api erano considerate il più antico emblema dei sovrani francesi. Allo stesso tempo, le api rappresentavano l’industriosità dei cittadini di Parigi, che lavoravano fedeli per il loro imperatore.


Provincia di Terni.

Bene ha fatto l’amministazione provinciale di Terni a procedere, qualche anno fa, ad un restyling del proprio stemma. Infatti, gli insetti riprodotti precedentemente potevano essere facilmente confusi con mosche (Fig. 1) o con vespe (Fig. 2 bis). Nell’attuale versione (Fig. 3) , invece, sono rappresentate, molto schematicamente, le tre api citate nel decreto ministeriale del 6/12/1934. Le vecchie versiono sono state utilizzate dal momento delle concessioni (la prima il 12 marzo 1936 e la seconda il 27 ottobre 1956) fino alla ridefinizione effettuata da Michele Spera nel 1987 (BUSSETTI, in litteris).
Nello stemma (art. 5 dello Statuto, deliberazione n. 49 del 7/4/2003) oltre alle api, simbolo della laboriosità della comunità provinciale, si ritrovano anche cinque “onde”; esse ricordano l’acqua, risorsa fondamentale per lo sviluppo industriale e commerciale del territorio.4 4.Nel 1927 (ottanta anni fa) la Provincia di Terni fu istituita (separandola dalla Provincia dell'Umbria smembrata nelle tre attuali Province di Perugia, Terni e Rieti) accorpandola con l'area orvietana, proprio in seguito allo sviluppo della città, conseguente alla grande industralizzazione di fine secolo.


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CONSIDERAZIONI

A conclusione di questa “carrellata” (forse incompleta) si evidenzia come in gran parte degli stemmi individuati (52 pari all’85 %) siano riportate api operaie (fig. 62): questo è un uso abbastanza comune nell’araldica civica internazionale; infatti, solo eccezionalmente è rappresentata la regina (VAN LAERE, 1982). E’ corretto, però, dire che le api, come del resto ogni altro insetto, sono abbastanza rare in araldica, soprattutto in quella più antica. Per quanto attiene all’araldica gentilizia, esse sono un po' più frequenti, ma sempre rare (SAVORELLI, com. pers.). In Italia la famiglia più famosa che ha le api nel suo emblema è quella dei Barberini, da cui proveniva papa Urbano VIII: il suo stemma si vede spesso sia in Vaticano sia a Roma, come nella nota fontana di piazza Barberini.
L’ape è sempre vista dal dorso e rappresentata, come avviene normalmente in araldica, montante, cioè nell’atto di salire, verso la parte alta dello stemma (capo), con le ali aperte; essa viene quasi sempre raffigurata “d’oro”, ma mai su un fiore! L’oro è il primo metallo nobile usato in araldica e raccoglie in sé ogni significato buono e glorioso: ricchezza, potenza, magnanimità, nobiltà, splendore, sovranità, prosperità, ecc.
Come simbolo, in araldica, l’ape è nobilissima; essa simboleggia l’industriosità, la fatica “virtuosa”, la regolarità, la laboriosità e l’operosità degli abitanti dei Comuni interessati nonché – di questo era assertore Napoleone – la immortalità e la resurrezione. E’ quindi un simbolo molto diffuso su tutto il territorio nazionale.
Da rimarcare è una notazione “mistica” della simbologia dell’ape; essa, infatti, in Occidente è anche chiamata ‘Uccello del Signore’ o ‘della Madonna’ e si può considerare un simbolo dell’anima (BIEDERMANN, 1991). Ciò è valido per quegli stemmi che uniscono l’aspetto allegorico del lavoro a quello del fedele (ad esempio quello del Comune ligure di Ceranesi, che ha l’alveare con le api intorno, simboliche del popolo laborioso per il bene comune sul quale veglia, in alto, il monogramma di Maria).
Gli usi delle api negli stemmi comunali sono di due tipi: come parlanti, cioè allusive (come avviene nei rebus) al nome stesso del Comune, e allegoriche, come generico simbolo di laboriosità, industriosità, abbondanza ecc. Questo secondo uso è presente in vari Comuni, ma è sempre moderno. Per quanto riguarda le api parlanti si ricordano Avigliana (TO), Melazzo (AL), Mele (GE), Cassina de’ Pecchi (MI), Melara (RO), Pietramelara (CE), Melissano (LE), Melissa (KR), Melilli (SR) e Avola (SR). Tra questi, si sottolinea Melara e Melilli che devono il loro nome al miele e all’attività delle api: ciò è motivo d’orgoglio per gli abitanti . 5
In alcuni casi (Ceranesi, GE; Piario, BG e Ornica, BG) è più corretto parlare di api alludenti, in quanto esse “fanno pensare”, per assonanza, al toponimo.
Quando le api rappresentano una risorsa del territorio, ciò è evidenziato sullo stemma: questo, infatti, contiene gli elementi più significativi per identificare il comune.
Solo in due casi (3,3%), grazie alle scritte interne o esterne, si fa riferimento al miele; l’alveare (o un suo favo) è, invece, rappresentato in 7 stemmi (11.7%) a testimoniare che, fin dall’antichità, in quelle terre si praticava l’apicoltura. Last but not least, ci si permette di esprimere un giudizio sulla rappresentazione grafica, delle api, in uso in araldica. Le api sono state trattate molto male dagli araldisti. Spesso, infatti, la morfologia di questi insetti non è rispettata (FRILLI et al., 2001): essi, più che api, sembrano mosche!
Quest’affermazione si basa su due constatazioni. La prima è che, sovente, si vede un paio solo d’ali; ciò trae in inganno: le api, infatti, sono Imenotteri e quindi hanno 4 ali ma quando sono a riposo se ne vedono solo due, richiamando così le mosche che, invece, sono Ditteri (dotati di un solo paio di ali). La seconda considerazione è che anche il disegno dell’intero corpo dell’ape fa assomigliare questi insetti a mosche!
5.Già dal ‘700 nella zona di Melara, quindi non solo in quel paese, ma pure in quelli vicini, l’attività di apicoltore era diffusissima. Nel 1877 un noto maestro locale, Cesare Cugola, divulgò su di un giornale torinese un nuovo modo di costruire le arnie (RIDOLFI, in litteris). Melilli, purtroppo, a causa della massiccia industrializzazione del suo territorio, con lo spostamento dalla campagna di moltissima manodopera, ha perduto l’antica tradizione apicola, peraltro ancora diffusa negli altri centri iblei (Sortino ad esempio) (MAGNANO, 2004).



Ringraziamenti
Si desidera ringraziare i sigg. Bruno Fracasso e Massimo Ghirardi (www.araldicacivica.it), il sig. Raffaele Ridolfi di Melara (RO), i proff. Pietro Pitruzzello e Paolo Magnano di Melilli (SR), le Amministrazioni Comunali e Provinciali che hanno risposto alle richieste loro inviate, i proff. Pietro Zandigiacomo e Franco Frilli dell’Università di Udine per la collaborazione prestata.


BIBLIOGRAFIA

da Apitalia numero 6 2008
Link http://www.araldicacivica.it