Da la Provincia Pavese -- Data pubblicazione:22-05-2003

 
La dolce scelta di Bonizzoni

CASTEGGIO. Passione e tanto lavoro sono le ricette del miele di Luca Bonizzoni.
Via Madonna, subito dopo l'incrocio di via Manzoni. Zona isolata: se si seguono le indicazioni di alcuni cartelli appesi alle robinie, ci si arriva.
In un grande cortile, con tante cassette colorate lungo il perimetro, c'è una costruzione, larga e bassa, con una vistosa insegna: Luca Bonizzoni, apicoltura.
Il proprietario è un emilian-lombardo che in gioventù si era dedicato a studi letterari all'Università di Pavia. Terminati gli esami e abbozzata la tesi, dunque ad un passo dalla laurea, scoprì che amava i boschi più delle aule e le api più degli studenti.
Decise allora che non sarebbe divenuto un insegnante, ma un apicoltore. Quando informò i genitori della decisione - la famiglia era composta di altri dieci figli, tutti laureati - la sorpresa non fu da poco. Gli diedero però fiducia. E Luca Bonizzoni si trasferì allora a Reggio Emilia, presso l'apicoltore Ruini Onelio, dove imparò tutto quello che vi era da imparare su api e produzione di miele.
«Divenire apicoltore - dice oggi Bonizzoni - è impossibile senza passione, ma la sola passione non basta. Così ho svolto un lungo tirocinio presso un'azienda emiliana: poi mi sono messo in proprio. E i risultati sono più che soddisfacenti».
L'azienda Bonizzoni possiede circa mille alveari, collocati dalle Alpi alla Sicilia. Produce undici tipi di miele, pappa reale, propoli, api e api regine. Impiega cinque persone, tre provengono dal Sud America. «Il miele si ottiene in molti Paesi europei ed extraeuropei - spiega Bonizzoni - ma quello italiano è il più buono. Questo perché le nostre capacità e la nostra fantasia nel produrre miele sono imbattibili. Miglioriamo di continuo ciò che da tempo produciamo e ricerchiamo sapori sempre nuovi.
Così da Paesi come l'Argentina, grazie a borse di studio, arrivano giovani che vogliono divenire apicoltori secondo lo stile italiano. Il miele è come il vino - prosegue Bonizzoni, da tempo presidente degli "Apicoltori professionisti italiani" - La produzione varia secondo le annate: oltre al potere energetico e dolcificante, è valutato per colore, profumo e sapore. Alcuni lo preferiscono solido, altri liquido. Tutti lo gradiscono».
La prima decisione dell'apicoltore è quella di collocare gli alveari nella zone di fioritura, sperare poi che non sopravvengano gelate e che i furti di alveari siano compresi in una percentuale accettabile. L'Italia ha fiori diversi, bellissimi, su tutto il territorio. L'apicoltore allora, oltre a massimizzare l'utilizzo della flora nella zona in cui è collocata l'azienda, deve percorrere chilometri e chilometri per raggiungere la Sicilia e ottenere il miele all'agrume e risalire i boschi alpini per produrre quello al castagno. L'attività è varia e intensa solo da aprile a settembre: si vive all'aria aperta e non è male come guadagno.
Inoltre si importa il 50 per cento del miele che consumiamo. Dunque c'è anche spazio sul mercato. Eppure i giovani, soprattutto in Oltrepo, restano alla larga dall'apicoltura. «L'inconveniente maggiore dell'apicoltore - dice Bonizzoni - è rappresentato dalle punture. Noi disturbiamo le api e loro ci ripagano. Nei primi tempi le braccia sono tutte bitorzolute. Poi il corpo impara a difendersi dal veleno iniettato dalle punture della api, e la pelle non si gonfia più. Resta comunque il fastidio». In ogni alveare vi sono circa 60 mila individui che producono 50 chili di miele l'anno con l'aggiunta di pappa reale e di propoli, una resina che serve per stuccare l'alveare. L'ape produce il miele come alimento di riserva per l'inverno: l'apicoltore deve indurle a produrne di più di quello che potrebbero consumarne. Una pratica tutta naturale, che non subisce trasformazioni dalla produzione alla tavola. «Il miele fa bene - conclude Bonizzoni - Purtroppo ha come avversari prodotti molto pubblicizzati e di facile consumo. Ma una bella colazione mattutina a base di pane e miele non ha eguali».