Le capacità di adattamento delle api o meglio la loro capacità di sopportazione


L’adattamento è certo una costante di tutti gli esseri biologici , ma nella sua accezione letterale dovrebbe essere considerato un percorso lungo come descritto dalla biologia evolutiva e che tende a portare risultati duraturi in funzione del contesto (ambientale ) mutato e mutante . Si tende a confonderlo con la sopportazione , che è questione dal punto di vista biologico ben diversa sia per il fatto che i tempi su cui si ragiona sono enormemente più brevi sia per il fatto che la sopportazione , invariabilmente , richiede che a qualcosa si debba rinunciare rispetto al meglio che sarebbe in teoria possibile per il soggetto che si considera: alveare, mucca o essere umano che sia . Una perdita secca senza nessun tipo di ritorno. In effetti le api e gli alveari hanno sopportato non poco e sopportano ancora e ci si può anche chiedere in che modo lo fanno e con quali limiti oggettivi a partire dal loro caratteristico modo di operare ( fisiologia sociale ) .
Il modo di operare dell’alveare è oggi sufficientemente compreso . Non ha più grossi segreti , ma sicuramente tantissimi piccoli .
Già una ventina di anni fa il Professor Kreilscheim spiegò il modo di allevare la covata da parte delle api in relazione alla disponibilità di risorse . Determinata una quantità di risorse disponibili a titolo di esempio , le api potrebbero allevare poca covata estremamente nutrita e da ciò estremamente forte sotto tutti gli aspetti oppure al contrario tanta covata pochissimo nutrita e da ciò estremamente debole sotto tutti i punti di vista . Le api scelgono normalmente di lavorare secondo una via mediana , ovvero una quantità intermedia di covata nutrita in maniera media . Si noti che in questo modo di operare , le variazioni verso un lato oppure verso l’altro dell’ambito delle possibilità ,verosimilmente determinate dalle caratteristiche genetiche, possono condizionare parecchio i risultati produttivi dell’alveare e la sua resistenza ai patogeni. Infatti da ciò potrebbero ad esempio derivare famiglie piccolissime , ma resistentissime ai patogeni che non producono altro che la loro resistenza .Per converso abbiamo da questo la prima evidenza di come la disponibilità qualitativa e quantitativa di risorse ( più proteiche che di nettare ) sia condizionante per l’alveare . Se le risorse disponibili fossero illimitate, l’alveare potrebbe allevare un altissimo numero di api ultra forti .
Le modalità di funzionamento dei vari sistemi immunitari ( individuali e sociali ) sono ormai sufficientemente chiari . Per ciò che riguarda l’insieme dei sistemi immunitari , si può pensare di metterli tutti insieme e cercare di capire cosa serve per il loro funzionamento . Quello che si arriva a concludere è che per funzionare al meglio l’insieme dei sistemi immunitari dell’alveare, lo stesso ha necessità che le sue bottinatrici possano consentirgli di operare in una situazione di opulenza . E’ questa la situazione di abbondanza che gli consente il funzionamento ottimale . Situazioni diverse richiedono compromessi che possono portare a gioco lungo a produzioni scarse, popolazione dell’alveare scarsa e in certi casi estinzione della famiglia . E questa è la seconda evidenza di come la disponibilità qualitativa e quantitativa di risorse ( più proteiche che di nettare ) sia condizionante per l’alveare.
La capacità di espressione immunitaria complessiva dell’alveare ( competenza immunitaria ) deriva in larghissima misura dal polline . Da ciò deriva che le famiglie più abili nella raccolta sono destinate sia a produrre di più che di conseguenza ad avere più salute . La capacità di raccolta di polline è una caratteristica che è determinata dalla genetica dei soggetti. Le api non la imparano . Quello che hanno lo hanno alla nascita . Come determinato dal Professor Robert Page . Certo in un alveare che è l’insieme di 16 sottofamiglie di api sorellastre si vengono a determinare delle media . Ma è soprattutto il risultato di questa abilità che l’apicoltore apprezza in famiglie particolarmente produttive , perchè a monte di tutto c’è la capacità di raccolta di polline . Una famiglia non raccoglie miele se prima non ha allevato le api per farlo e per allevare api serve polline per almeno il 75 % di quanto necessario.
Di Pasquale e De Grandi ,in tempi diversi hanno determinato che l’alveare è soggetto a Nosema ceranae e a virus tanto più quanto il polline è povero di nutrienti .
Di conseguenza è innegabile che le api con maggiore capacità di raccolta del polline tendono a sopportare meglio i patogeni e a produrre di più , ma se l’ambiente proprio non offre quanto necessario più dal punto di vista della qualità che della quantità si inginocchiano anche i migliori . In altre parole, da quel che se ne sa, l’alveare è potenzialmente in grado di sopportare un alto carico di patogeni, magari producendo poco nell’ottica dell’apicoltore .
L’alveare è potenzialmente in grado di vivere in condizioni di ristrettezza di risorse , sicuramente producendo poco nell’ottica dell’apicoltore . Ma quello che non può fare per quello che è la sua fisiologia di super organismo è sopportare un carico consistente di patogeni in situazioni di scarsità di risorse . Questo gli è impossibile . E per la verità è verosimile


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