Api super con il cervello da nirvana
Non finisce di stupire questo insetto, dall’antichità metafora di virtù umane. Stavolta, all’ape bottinatrice tocca addirittura un cervello da nirvana. Oggi si scopre che ha un cervello asimmetrico, come il nostro, in cui esiste una diversità di funzioni anche in rapporto alle risposte emotive, un cervello che, opportunamente stimolato, può farci sentire come geni usciti da una lampada, sperimentando il nirvana come esseri che trascendono il corpo. E’ successo proprio a una scienziata, Jill Taylor, del «Brain Bank di Harvard»: «In seguito a una lesione nell’emisfero sinistro, mi sentii parte del mondo, dove le creature erano in un unico e scintillante campo d’energia».
«Ciò che è certo è che con un solo milione di neuroni le api sanno contare, riconoscono le stesse illusioni ottiche che vediamo noi, formano mappe cognitive del mondo, possiedono l’equivalente del concetto di uguale e diverso e imparano in fretta. Ebbene, oggi sappiamo che anche le api possiedono un cervello asimmetrico e questo le rende in qualche modo più vicine a noi». A parlare è uno dei massimi esperti di cognizione animale, Giorgio Vallortigara - direttore dell’«Animal Cognition and Neuroscience Laboratory» del Centro Mente Cervello dell’Università di Trento- le cui ricerche sul consolidamento della memoria olfattiva hanno portato alla scoperta, pubblicata oggi su «PLoS ONE». Coautrice è Lesley Rogers, del «Center for Neuroscience&Animal Behaviour» dell’Università del New England in Australia.
Insomma, se Albert Einstein ripeteva che, «se l’ape scomparisse dalla faccia della Terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni», riferendosi alla loro funzione di impollinatrici, questi insetti sono tornati alla ribalta delle cronache e della scienza. «Della diversità di funzioni tra le parti del cervello, destra e sinistra, si iniziò a parlare secoli fa, a proposito del linguaggio, abilità caratteristica dell’emisfero sinistro. Oggi, grazie alle api, abbiamo varcato il Rubicone della classe dei vertebrati».

Professore, quella che si credeva una caratteristica esclusiva della nostra specie è presente tra gli insetti. Lei ha studiato la specializzazione emisferica di pesci, anfibi e uccelli. Oggi le api. E’ una storia che, a sorpresa, si ripete? «Effettivamente sì. Ho lavorato per più di 20 anni su questi argomenti. Mi ero convinto che i vertebrati avessero cervelli asimmetrici, ma ero anche convinto che questa fosse una prerogativa, appunto, dei soli vertebrati. Oggi mi devo ricredere nuovamente. Nel corso di un soggiorno in Australia ho lavorato con Lesley Rogers, che studia la neurobiologia degli invertebrati. L’esperimento è significativo: presentando una gocciolina di soluzione zuccherina, l’ape estende la proboscide per succhiare il liquido. Abbiamo poi esposto l’ape a un odore di limone appena prima di darle il cibo e, con poche prove di accostamento di questo tipo, abbiamo ottenuto, come per il cane di Pavlov, che alla sola presentazione dell’odore l’ape estroflette la ligula. Abbiamo quindi notato prestazioni diverse, quando una delle antenne veniva bendata. Per vagliare l’ipotesi che questa diversità non fosse dovuta a una asimmetria nel numero dei recettori nelle antenne, di destra e di sinistra, accertata dall’esame al microscopio, abbiamo studiato una delle attività più nobili del sistema nervoso, vale a dire la memoria e il suo consolidamento nel tempo».

E cos’avete scoperto?
«A un’ora dall’apprendimento l’antenna di destra “ricorda” che all’odore di limone farà seguito del cibo, ma quella di sinistra no. A tre ore, poi, la memoria sta traslocando. A sei ore è l’antenna di sinistra che ricorda e la memoria si mantiene anche dopo 23 ore».

Avete chiarito come avviene?
«Le ipotesi sono due. La stimolazione delle antenne potrebbe avere un effetto diverso sul cervello: la destra andrebbe a formare una memoria di breve termine nell’emisfero sinistro, mentre la sinistra una memoria di lungo termine nell’emisfero destro. Alternativamente, la creazione della memoria potrebbe essere identica nei due lati del cervello e a cambiare nel tempo sarebbe l’accesso delle antenne alle memorie».

Perché è così importante studiare l’asimmetria del cervello?
«Sappiamo che nell’uomo il mancato sviluppo dell’asimmetria cerebrale è associato con un’ampia varietà di disturbi e condizioni patologiche, che vanno dalla balbuzie alla dislessia e dalla schizofrenia all’autismo. Studiare l’asimmetria è dunque importante anche dal punto di vista clinico e medico. Mi piace ricordare l’eroe della mia giovinezza, il neurobiologo Roger Sperry, Premio Nobel: fu lui, per primo, che giunse a parlare di diversità di funzioni a carico delle due parti del cervello studiando i pazienti a cui era stato reciso il corpo calloso, quel fascio di fibre che collega gli emisferi. Adesso che abbiamo imparato che l’asimmetria sia strutturale sia funzionale è molto diffusa in natura, i modelli animali diventano fondamentali per investigare le basi biologiche e neurologiche del fenomeno, per capirne le cause e il perché della sua esistenza».

A che cosa serve all’ape avere un cervello asimmetrico?
«Nel caso delle api, che si cibano volando di fiore in fiore alla ricerca del nettare in diversi momenti della giornata, l’asimmetria potrebbe consentire all’antenna di destra di apprendere nuovi odori senza interferire con le memorie a lungo termine. L’ipotesi verrebbe confermata se si trovasse che l’ape, nel volo attorno a un fiore mai visto, si muove in senso orario, usando quindi l’antenna di destra».

E, invece, qual è la funzione biologica di questa caratteristica?
«L’asimmetria è una strategia evolutivamente stabile: quello che mi conviene fare, per esempio fuggire verso destra o sinistra, dipende dal comportamento altrui. Inoltre, il fatto che i due emisferi cerebrali abbiano ruoli diversi eviterebbe la duplicazione delle funzioni e renderebbe possibile l’esecuzione simultanea di più attività».
NICLA PANCIERA
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