Virgilio Georgiche Libro Quarto


 

Seguitando, del miele aereo il dono celestiale descriverò.

Considera, o Mecenate, anche questa parte . Spettacoli per te

ammirevoli di piccole cose: i magnanimi condottieri, di tutta

una gente, per ordine, i costumi, le cure, le comunità e le lotte

mi accingo a cantare. Per lieve cosa grande fatica; ma non

lieve la gloria, se mai i nomi ostili lo permettono e ascolta la

mia invocazione Apollo.

All'inizio una sede per le api e un quartiere bisogna cercare,

dove i venti non abbiano accesso (perché i venti impediscono

il trasporto del cibo nella casa), e le pecore e i capretti ruzzanti

non calpestino i fiori, o vagando una giovenca per il campo

non scuota la rugiada dai rami e non calpesti l'erba nascente.

Siano lontane anche, con le loro macchie sui dorsi squamosi,

le lucertole dalle ben fornite stalle delle api, le meropi e altri

volatili e Procne, sul petto chiazzata da mani cruente . Essi

ogni cosa per largo tratto devastano e le stesse api in volo col

becco afferrano, dolce esca per i loro covi crudeli. Invece le

limpide fonti e stagni verdeggianti di muschio siano vicini, e

sottile in fuga tra l'erbe un rigagnolo; una palma l'ingresso o

un grande oleastro ombreggi. Così, quando per la prima volta

i nuovi re guideranno gli sciami nella primavera che è fatta

per loro, e godranno di aver lasciato i favi le giovani api, vicino

la ripa le inviterà a ritrarsi dal caldo, e pronta le accoglierà

con la fronda ospitale la pianta. In mezzo all'acqua,

stagnante o scorrente, getta di traverso salici e grosse pietre,

affinché su ponti frequenti possano sostare e le ali stendere al

sole estivo, se mai, mentre indugiavano, le spruzzò o improvviso

in Nettuno le immerse l'euro. Attorno la cassia verdeggiante,

il sermollino dal diffuso olezzo e copiosa la santoreggia dall'acuto

profumo fioriscano, e al corso della sorgente bevano cespi di viole.

Essi poi, sia che tu li abbia connessi di cortecce vuote sia

che li abbia, gli alveari, di flessibile vimine intrecciati, angusti

devono avere gli ingressi, perché col suo freddo i mieli indura

l'inverno e viceversa il calore li fa troppo liquidi e molli.

L'assalto di entrambi è per le api ugualmente temibile, ed esse non

per nulla nei loro tetti a gara cospargono di cera i minuti

spiragli, e di resina tratta dai fiori le fessure ricolmano; raccolgono

per questa stessa funzione un glutine più appiccicoso

del vischio o della pece dell'Ida frigia e lo conservano. Spesso

anche, se il vero si narra, in fori nascosti sotto la terra un caldo

nido ricavarono, e in profondità se ne trovarono nei vuoti

delle pietre porose o nel cavo di un albero corroso. Tu però e

i loro covi screpolati di sottile fango spalma intorno, tenendoli

al caldo, e qualche ramo sovrapponi. Troppo vicino ai loro

tetti l'albero del tasso non lasciare, non far rosseggiare

abbrustolendoli al fuoco i gamberi, non affidarti alle profonde paludi

o dove il limo ha odore dannoso o dove concave rupi rimandano

l'urto dei suoni e della voce si abbatte e rimbalza l'eco.

Per il resto, quando il sole dorato le spinge l'inverno e lo

manda sotterra, il cielo con l'estiva sua luce riaprendo, esse

subito le balze selvose percorrano mietendo i fiori sfolgoranti

e delibando dei fiumi il pelo dell'acqua, leggere. Così, di non

so quale dolcezza contente, la prole nei nidi esse nutrono; così

abilmente le fresche cere elaborano e induriscono i mieli.

Così, quando ormai esce dall'arnia verso gli astri del cielo

remigando per la limpida estate e la vedi in su questa schiera,

oscura nuvola - un miracolo - trascinata dal vento; osserva:

ad acque vive e a ripari di frasche sempre si dirigono.

Là tu spandi i prescritti aromi, appiastro tritato e di cerinta la

comunissima erba; desta tintinni e scuoti della Madre i cembali

attorno: e spontaneamente si fermeranno in quei luoghi profumati,

spontaneamente al fondo delle celle per puro istinto si nasconderanno.

Se invece a battaglia usciranno - infatti spesso fra due re

s'insinua una grande discordia tumultuosa; e subito allora l'ardore

della plebe e l'ansiosa attesa della guerra nei cuori si possono

molto prima presentire; infatti le restie il ben noto, marziale

suono di rauco bronzo rimprovera e uno strepito s'ode

simile agli squilli intermittenti delle trombe. Allora infine vogliose

si addensano con sfolgorio di ali, i pungiglioni appuntiscono

contro il rostro, assettano le zampe e intorno al re, davanti

al suo stesso quartiere turbinando si addensano e forte strepitano

per provocare il nemico.- Dunque, quando ottengono una primavera

asciutta e sgombri spazi di cielo, prorompono dalle

uscite; avviene lo scontro, l'etere in alto rimbomba, in ampio

cerchio si avviluppa la mischia e a capofitto precipitano.

Non è più densa la grandine nell'aria, né a scuotere un leccio cade

maggior pioggia di ghiande. I due, che percorrono al centro le

file, distinguibili dall'insegna delle ali, immenso coraggio nel

minuscolo petto alimentano, decisi a non cedere mai finché

irresistibile il vincitore costringe o gli uni o gli altri a

volgere in fuga le spalle. Tanta eccitazione di cuori e duelli

tanto ardenti col lancio di poca polvere si rintuzzano e acquetano.

Però, quando i condottieri avrai dalla battaglia fatti recedere

entrambi, chi peggiore ti parve, ecco, perché superfluo

non nuoccia mettilo a morte, e il migliore lascia a regnare

nella sgombra reggia. L'uno sarà di macchie ruvide d'oro tutto

lucente; infatti due sono i tipi: costui, il migliore, eccellente

di aspetto e splendido di fiammeggianti squame; l'altro arruffato

per la sua inerzia e ignobilmente appesantito da un ampio ventre.

Come duplice l'aspetto dei re, così la corporatura delle operaie.

Alcune sono sgraziate e ispide, come quando da una

nube di polvere esce e con la bocca secca in terra sputa il

viandante assetato; brillano le altre e sfavillando scintillano,

di gocce ardenti d'oro sparse simmetricamente sul corpo.

Questa è la migliore razza, da questa in periodi fissi dell'anno

dolci mieli ricaverai, e, più ancora che dolci, limpidi e capaci di

ammansire l'aspro sapore di Bacco .

Ma quando incerti volano nell'aria gli sciami a ghiribizzo,

trascurando i favi e lasciando raffreddare i loro ripari, i volubili

animi distoglierai da quel vano ghiribizzo. Non sarà grande,

per distoglierli, la fatica: ai re stacca le ali, e nessuno, se quelli

sono trattenuti, oserà lanciarsi in alti voli o nel campo strappare

le insegne. Le invitino col profumo di zafferano fiorito i

giardini; a custode contro ladri ed uccelli stia con la falce di

salice la sicura tutela di Priapo Ellespontiaco. Sia lui stesso

a trasportare il timo e il lauro selvatico dalle alte montagne

e a piantarlo in abbondanza intorno alle arnie, chi ha care

queste cose; la sua stessa mano nella dura fatica consumi, da

se stesso fruttifere piante fissi nel suolo e con benigne acque

le innaffi.

Ma pure, se all'estremo ormai delle mie fatiche le vele non

dovessi raccogliere e verso terra affrettarmi a rivolgere la prua,

forse anche la cura che abbellisce e feconda gli orti canterei,

i rosai di Pesto due volte fioriti ogni anno , il modo con cui

la cicoria si anima bevendo ai ruscelli e l'appio verdeggia sugli

argini, e torcendosi fra l'erba cresce panciuto il cocomero; né

la tarda chioma del narciso o il pieghevole stelo dell'acanto

tacerei e le pallide edere e l'amante delle spiagge, il mirto.

E infatti sotto le torri, ricordo, della rocca ebalia, ove cupo

irriga biondeggianti coltivi il Galeso, un vecchio conobbi di

Corico, che aveva pochi iugeri di un terreno abbandonato da

altri, non fertilizzabile con buoi, non adatto a bestiame per

l'erba né comodo a Bacco. Eppure costui, radi fra gli sterpi

i legumi e intorno candidi gigli e verbene piantando, e l'esile

papavero, pareggiava le ricchezze dei re in cuor suo e rincasando

a tarda notte ingombrava la sua mensa di cibi non comprati.

Era il primo a cogliere la rosa in primavera, ma anche

i frutti in autunno; e quando un fiero inverno ancora col gelo

i sassi spezzava, e il ghiaccio arrestava i corsi dell'acqua, egli

la chioma del delicato giacinto già recideva, insultando la stagione

per la sua lentezza e gli zefiri per il loro indugio.

Dunque, anche di api novelle, ma in uno sciame abbondante era il primo

ad essere ricco e a raccogliere spumeggiante miele spremendo i favi.

Aveva tigli, un rigogliosissimo pino; le sue piante feconde

quanti frutti durante la primavera avevano accolto in fiore,

tanti ne conservavano fino alla maturazione autunnale.

Egli ancora distanziò in filari i longevi olmi, i durissimi peri, i pruni,

ora però produttori di susine, e il platano, ora ministro ai

bevitori di ombre. Però, da queste cose io escluso davvero per

l'iniquità dello spazio, le tralascio, ma ad altri le affido, che

dopo di me le rammentino.

Suvvia ora: le qualità esporrò, attribuite alle api da Giove

stesso come ricompensa per aver seguito gli arguti suoni dei

Cureti e i loro squillanti bronzi, e nell'antro di Ditte il re del

cielo nutrito .

Uniche, hanno in comune i nati, indivisi i tetti

della loro città, e passano sotto leggi grandiose la vita: e uniche

una patria e fissi penati conoscono. Dell'avvento dell'inverno

sempre memori, in estate esercitano la fatica e quanto hanno

insieme raccolto, ripongono. Infatti c'è chi al cibo attende e

secondo l'accordo pattuito si affatica sui campi; una parte

nel chiuso delle dimore le stille del narciso e l'appiccicoso glutine

della corteccia dispone quale primo sostegno dei favi, per poi

sospendervi le tenaci cere; e chi la speranza della stirpe, la

prole appena cresciuta, trae fuori, chi i purissimi mieli addensa,

coprendo di quel limpido nettare le celle.

Ve ne sono cui toccò in sorte la custodia degli ingressi, e si avvicendano

nello spiare la pioggia e le nubi del cielo, oppure accolgono il carico di chi

arriva o schierate a battaglia l'ignavo branco dei fuchi dalle mangiatoie

respingono; ferve l'opera e odora di timo la fragranza dei mieli.

E come dalle malleabili masse del metallo i

Ciclopi quando i fulmini preparano in gran fretta, alcuni nei

mantici di cuoio taurino l'aria attraggono e rinviano, altri lo

stridente immergono bronzo nella tina; geme sotto il peso degli

incudini l'Etna, ed essi alternamente con grande vigore le

braccia sollevano a tempo e rigirano con la salda tenaglia il

ferro: non altrimenti, se il piccolo si può raffrontare col grande,

le api di Cecrope un'innata brama sospinge di possedere,

ciascuna secondo il suo ufficio.

Le anziane si occupano delle difese, di far saldi i favi,

di costruire tetti degni di Dedalo invece stanche a notte inoltrata

ritornano le giovani, le zampe piene di timo: pascolano un po'

dappertutto, fra i corbezzoli e i cerulei salici, la cassia, lo zafferano

rosseggiante e il tiglio untuoso e i giacinti arrugginiti.

Per tutte uno solo è il riposo dai lavori, la fatica è per tutte una sola.

Di mattino si riversano fuori dalle porte e da nessuna

parte si attardano; di nuovo, quando ancora il vespero le avverte

di ritrarsi finalmente dal pascolo sulle campagne, allora

verso i tetti si dirigono e poi i corpi ristorano; si diffonde il

brusio, ronzano intorno alle soglie delle entrate. Poi quando

ormai nei loro talami si sono composte, tutto tace per l'intera

notte e le stanche membra invade un sonno generoso. Però

dalle loro stanze se minaccia pioggia non si allontanano troppo,

non fanno credito al cielo quando si avventano gli euri, ma

vicino, sotto i bastioni della munita città attingono l'acqua,

tentano brevi sortite e spesso una pietruzza, come le barche

instabili all'urto dei flutti la zavorra, portano, per reggersi a

volo tra le gonfie nubi.

Certo d'una costumanza gradita alle api ti stupirai: esse

non si prestano all'accoppiamento, consumando per Venere la

destrezza dei corpi o partorendo con doglie: invece da sé sole

raccolgono dalle foglie la prole, da erbe profumate con la bocca,

da sé sole i re e i piccoli quiriti sostituiscono , i palazzi e i

reami di cera riplasmano. Spesso, anche, nel loro vagare contro

dure rocce le ali spezzano e volontariamente rendono sotto il

peso la vita, tanto è l'amore dei fiori e il vanto di produrre del

miele. Dunque, sebbene siano strette nel limite di breve vita

(non vanno infatti al di là della settima estate), però rimane

la loro razza immortale e per molti anni si conserva la fortuna

di una stirpe, annoverando avi su avi.

Per di più, al loro re non altrettanto l'Egitto e l'immensa

Lidia e le tribù dei Parti e l'Idaspe di Media ubbidiscono.

Salvo il re, la volontà per tutte è una sola; perso, si rompe

il patto, del miele adunato fanno scempio esse stesse e il

reticolato dei favi distruggono. Lui è il garante del lavoro, lui

ossequiano e tutte attorniano, accalcandosi numerose con fremito

denso di ali; e spesso lo sollevano sui dorsi e coi loro corpi

dalla guerra lo riparano e bella cercano per via di ferite la morte.

A questi segni, però queste azioni osservando, qualcuno

disse le api partecipi della mente divina e dei sorsi dell'etere

puro; dio infatti penetra ovunque: e le terre e la distesa del

mare e l'abisso del cielo; da lui i greggi, gli armenti, gli uomini,

ogni specie di fiere, chiunque nasce trae il soffio vitale, e, si sa,

a lui ritorna poi e quando si dissolve viene restituita ogni cosa;

non c'è spazio, così, per la morte, ma ogni vita vola nel novero

delle stelle, ritraendosi nell'infinità del cielo.

Se mai le celle anguste, i forzieri ove si conserva il miele

tu vorrai stappare, dapprima, sciacquandoti con un sorso

d'acqua, pulisci la bocca e del fumo con la mano stenditi innanzi,

fitto. Due volte ammassano il denso prodotto e due sono

le stagioni del raccolto: non appena Taigete il suo aspetto

grazioso mostra alla terra, la Pleiade, e d'Oceano con piede

sprezzante respinge il gran fiume ; e poi quando essa ancora

fuggendo innanzi alla costellazione del Pesce piovoso, più cupa

scende dal cielo nelle onde invernali. La loro ira è smisurata;

offese, veleno coi loro morsi iniettano e il loro dardo immerso

lasciano nelle vene cui si attaccarono, offrendo la vita pur di

ferire. Se temerai per la rigidità dell'inverno e ti preoccuperai

del futuro, e avrai pietà dei loro istinti calpestati e dei lavori

infranti, però di diffondere i fumi del timo e di recidere le cere

svilite perché esiterai? Spesso i favi di soppiatto rosicchiò

una tarantola e i giacigli si riempirono di biatte nottambule,

e sfaticato si sedette alla mensa altrui il fuco, o il pungente

calabrone vi s'intromise con le sue armi prepotenti, o, terribile,

la razza delle tignole; ovvero, odioso a Minerva , le cedenti

maglie della sua rete sulle porte appese il ragno.

Quanto più furono depredate, tanto più alacremente tutte si

daranno a riparare i danni della famiglia immiserita, colmando

i fori e intessendo col nettare dei fiori i granai.

Se però, visto che i nostri casi anche alle api porta la vita,

un bieco morbo ne indebolirà i corpi - e subito potrai avvertirlo

da sicuri indizi: immediatamente, se ammalate, cambia

il loro colore, un'orribile magrezza ne deforma l'aspetto.

Allora i corpi di chi ha perso la luce portano fuori dai tetti e tristi

esequie ne celebrano; oppure collegate per le zampe davanti

alle soglie stanno appese o dentro, chiuse, si trattengono nella

casa, tutte svigorite dalla fame o dal rigido freddo impigrite.

Allora un ronzio si ode più grave e, a intermittenza, un sussurro,

come talvolta gelido tra le foreste mormora l'austro, o il mare

turbato stride al rifinire delle onde, o crepita violento nella

chiusa fornace il fuoco. Qui io ora vi consiglierò di accendere

del galbano aromatico e d'introdurre del miele per mezzo di

canne forate, sollecitandole anche e, pur sfinite, alla pastura

abituale invitandole. Gioverà pure una mistura di saporita galla

pestata e di rose secche, oppure vino cotto e ispessito da lungo

fuoco o grappoli di uva psitia passita e il timo di Cecrope

e la centaurea dal forte profumo. C'è poi un fiore nei prati,

cui gli agricoltori diedero il nome di amello, erba compiacente

al ricercatore per l'enorme fogliame che sviluppa da un'unica

radice, dorata al centro, ma nei petali, in gran numero tutti

in giro diffusi, con baleni purpurei sotto un viola cupo; spesso

se ne intrecciano festoni a ornamento delle are divine; aspro

è il sapore alle labbra; nelle valli già falciate i pastori lo vanno

a raccogliere, lungo il corso sinuoso del Mella .

Le sue radici fa' cuocere in vino profumato e come pastura

davanti agli ingressi ponilo, riempiendo i canestri.

Ma a qualcuno lo sciame può d'improvviso venir meno per

intero, né ha di dove trarre la razza d'una nuova stirpe.

È dunque tempo di rivelare l'invenzione memorabile di un allevatore

d'Arcadia, il modo come poi spesso il sangue guasto di

giovenchi uccisi produsse delle api. Ben addietro tutto svolgerò,

risalendo alla prima origine, il racconto . Là dove la

fortunata popolazione di Canopo Pellea abita, lungo il Nilo

stagnante al dilagare della sua corrente, e si aggira per le sue

campagne sopra canotti variopinti; dove pesa la vicina minaccia

dei Persiani faretrati e precipitando corre divaricato verso

sette foci, di verzura l'Egitto fecondando col nero limo, il fiume

declive fin dai colorati Indiani : tutta in questo espediente il

paese ripone la certezza nella sopravvivenza delle api..

Piccolo, anzitutto, ma ristretto a questo solo scopo si sceglie

un luogo; questo con un basso tetto di embrici e strette pareti

chiudono, lasciando quattro finestre ai quattro venti, oblique

alla luce. Poi un vitello si cerca, che già curva le corna biennali

sulla fronte, ed entrambe le narici e la bocca spirante, per

quanto resista, gli si ostruiscono, con percosse lo si uccide e

si maciullano i visceri fino a spappolarli attraverso la pelle,

senza danneggiarla. Così Io depongono in quel chiuso e ve lo

lasciano con uno strato di rami sotto i fianchi, del timo e della

cassia appena colta. L'operazione si compie allorché gli zefiri

cominciano a increspare le onde, prima che i prati rifulgano

di nuovi colori e prima che garrula ai travi il nido appenda la

rondine. Intanto gli umori intiepiditi nelle tenere ossa ribollono,

e certi animaletti straordinari da vedere, privi di zampe dapprima,

poi presto anche con stridore di penne, brulicano e via

via l'aria sottile invadono finché, quale si riversa dalle nubi

estive uno scroscio, prorompono, o come sotto l'impulso del

nervo le saette, quando preludiano alla battaglia i veloci Parti.

Chi fu il dio, o Muse, chi fu, che ci rivelò un tale espediente?

di dove iniziò questa nuova esperienza umana? Il pastore Aristeo,

fuggendo dalla valle del Peneo, Tempe , per aver perso,

come si narra, le api di morìa e di fame. mesto, su su, alla

sacra sorgente venne a fermarsi del fiume, con molti lamenti.

 

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