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Le api nel Canone

di Gianluca Salvatori, CHS

L’analisi delle interferenze, rectius delle relazioni, tra il mondo di Sherlock Holmes e quello dell’apicultura può compiersi, a mio parere, seguendo tre diverse strade: quella puramente letteraria, nella quale bisognerà soffermarsi sull’uso dell’ape come strumento metaforico, usato per evocare operosità, organizzazione, tenacia, laboriosità; quella strettamente biografica, legata al contributo del grande detective all’allevamento delle api ed all’uso della cera nell’arte del travestimento ed infine quella fantastica - la più azzardata - nella quale si pretende di indicare quali fossero gli scopi mediati che Holmes perseguiva attraverso lo studio dell’apicultura.

Dal punto di vista strettamente letterario Sir Arthur Conan Doyle ha più volte utilizzato il mondo delle api per evocare l’immagine dell’industriosità, dell’operosità o, come si direbbe con termine odiernissimo, di fattiva collaborazione.
Ne "L’avventura dei piani Bruce-Partington" [BRUC, 916, 80] (1) l’ammiragliato britannico, per il fermento dovuto al tragico momento in cui versa, viene descritto ronzante come un favo capovolto, mentre lo stesso ronzio viene usato per evocare il bisbiglio all’orecchio ne "L’avventura del nobile scapolo" [NOBL, 298, 420] (2). Ne "Uno studio in rosso" [STUD, 59, 80] (3) si apprende come la confraternita dei Santi dell’Ultimo Giorno, appartenente ai Mormoni, sia in fermento esattamente come le api, il cui favo è stato da loro scelto come simbolo. Per altre due volte viene evocata l’ape come simbolo di operosità: la prima volta ne "Il segno dei quattro" [SIGN, 146, 209] (4) dove l’agitazione della popolazione è paragonata allo sciame d’api. La seconda ne "L’avventura dell’uomo che cammina a quattro zampe", [CREE, 1076, 312] (5) , quando Sherlock Holmes chiede a Watson se quest’ultimo ha la sfrontatezza necessaria per fingere un appuntamento col Prof. Presbury (quando in realtà un appuntamento non è stato fissato), al fine di indagare più a fondo sui suoi affari. Watson risponde "non ci resta che provare" ed Holmes, replicando, suggerisce che Watson è un misto tra "Busy Bee and Excelsior". In questo caso si tratta di una lusinga, perchè il grade detective definisce il proprio amico come persona non solo incline al duro lavoro (ape indaffarata) ma anche determinata a raggiungere gli obiettivi più alti nello svolgere i propri compiti (come indicato dalla parola "excelsior"). (6)
Infine ne "La valle della paura" [VALL, 775, 290] (7) viene utilizzato un phrasal verb, una frase idiomatica, per indicare la fissazione, la tenacia, con cui Sherlock Holmes tiene sotto controllo le mosse dell’acerrimo nemico, il professor Moriarty. Nella traduzione italiana si legge "pensiamo tutti che lei sia un po’ fissato con questo professore", mentre una improponibile traduzione letterale suonerebbe più o meno "pensiamo che lei abbia una piccola ape nel suo berretto".

Sotto l’aspetto puramente biografico, invece, è di nostro particolare interesse soffermarci sul frutto delle riflessioni notturne e delle lunghe giornate di lavoro dell'ultimo Holmes. Dai resoconti delle avventure pubblicate (8) sappiamo infatti che alla fine della sua mirabile carriera di investigatore, Sherlock Holmes si è ritirato nel sud del Sussex [LAST, 978, zzz] (9), dedicando al mondo delle api lo stesso impegno riservato allo studio della criminalità londinese.

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Una divertente caricatura dell’ultimo Sherlock Holmes intento allo studio delle api.
The Strand Magazine, dicembre 1948.

Tanta dedizione ha portato alla realizzazione di un "Manuale Pratico dell’Allevatore di Api, con alcune osservazioni sulla Segregazione della Regina", autentica rarità per l’appassionato holmesiano. Tale opera è purtroppo andata perduta e di essa si conosce soltanto l’aspetto esteriore: si trattava di un piccolo libriccino blu [LAST, 977, zzz] (10) forse in ottavo, con il titolo impresso in oro, stampato – afferma Bunson nella sua "The Sherlock Holmes Encyclopedia" – prima del 1914. A questo proposito chi scrive si permette di suggerire l’anno 1910 come possibile limite inferiore di questo intervallo di tempo. Dalla modesta bibliografia in appendice alla voce "Bee" nell’undicesima edizione dell’Encyclopædia Britannica, stampata a Cambridge nel 1910 non si rileva, infatti, alcuna traccia del lavoro in esame.
Conoscendo il serio approccio empirico di Holmes negli studi scientifici e nonostante che egli abbia pubblicato più di 140 monografie, appare singolare la mancata citazione di questa magna opera in una bibliografia specializzata. Detta latitanza è ancor più curiosa se si considera che l’autore della voce enciclopedica lamenta la carenza di seri studi scientifici nel settore.

Veniamo, infine, all’aspetto fantastico. L’interesse di Holmes per il mondo delle api è stato approfondito da altri studiosi del Sacro Canone, che hanno visto in esso uno scopo mediato. Bunson, nella sua Encyclopedia, riporta la nota teoria dell’eminente Baring-Gould, secondo il quale il grande detective è vissuto fino al 1957 grazie all’uso di una mistura a base di pappa reale, mentre ne "I 17 scalini" Enrico Solito e Stefano Guerra ipotizzano che l’approfondimento per il comportamento di quegli animali fosse indirizzato ad una possibile sostituzione nell’egregio lavoro svolto dai piccioni viaggiatori. A parte queste riflessioni, la cui veridicità non è suffragata da precisi riferimenti nei testi, sappiamo con certezza come Holmes sia ricorso alla cera d’api per assumere l’aspetto emaciato del moribondo agli occhi del dottor Watson ne "L’avventura del detective morente" [DYIN, 941, 116] (11).

Questi riferimenti alle api contenuti nel Canone paiono, agli occhi di noi appassionati, bastanti per giustificare una menzione di Sherlock Holmes nel suo museo. Come le dicevo, mi rendo perfettamente conto dello sbigottimento iniziale che avrà provato nel leggere queste note. Parole come Sacro Canone, grande detective, holmesiani, Encyclopedia Sherlockiana, possono sembrare altisonanti, persino risibili, ma la prego di considerare la particolare attenzione da noi dedicata ad un personaggio che molti ritengono addirittura mai esistito. Un parto della fervida fantasia di Sir Arthur Conan Doyle, modesto medico oculista al quale – comunque – dobbiamo molte delle nostre ore più felici.

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