Impariamo dalle api
I vecchi e fedeli lettori di questo nostro giornale si ricorderanno bene di quanto scrivevo delle mie api; la prima volta fu nell’aprile del 1977 e, a guardarsi le spalle, sono passati più di trent’anni. Non sono pochi.
Ricordo anche quel ragazzo che ero ottant’anni fa quando le osservavo sui prati e attorno alle arnie del signor Augusto. Ricordo anche che in Russia, durante quel brutto inverno del 1942, era a noi manna quel poco miele che qualche volta trovavamo nelle povere isbe. Fu poi verso la pensione, non poco stanco dell’ufficio del catasto e un po’ per insufficienza di interessi, che mi riprese l’antica passione. E da tre fratelli apicoltori comprai due arnie.
Fu davvero una buonissima cosa e presi a scriver per i miei lettori le esperienze dilettantesche sulle api, e a leggere quanto mi capitava in proposito di insetti sociali. Dal Piemonte e dalla Liguria i lettori mi scrivevano facendo utili osservazioni o chiedendo pareri. Insomma ci scambiavamo le nostre esperienze. Con le api e con i lettori ci fu un ottimo rapporto. Ricordo che nel primo anno raccolsi una trentina di chili di miele molto buono e mezzo chilo di cera. Era miele di tarassaco, di timo serpillo e di tiglio; la cera era molto profumata.
Via via con gli anni, con lo studio e l’osservazione e la pratica e, naturalmente con le sciamature, aumentai le arnie e la produzione. Non si trattava solamente di raccogliere il miele che le api producevano, ma anche segnare sul diario le date, il tempo, la fioritura, le sciamature, le smielature e da dove presumevo venissero i raccolti. Avevo miele da radure di erica, dal bosco, dalla montagna sovrastante; polline da crochi e da saliconi. Era bello seguire i loro voli e con il compasso, prendendo come centro le mie arnie, segnavo il territorio a cerchi per capire i luoghi di raccolta, fu una bella esperienza.
Il miele che ricavavo in più lo regalavo a parenti e amici, la cera la usavo per rendere più veloci i miei sci e per i mobili di casa; la davo anche a un amico ex campione olimpionico che la usava per fabbricare famose scioline per il fondo. Dalle pareti delle arnie, dal tettuccio e dai favi raccoglievo la propoli che è quella resina arricchita da sostanze elaborate dalle api per mummificare insetti estranei o nocivi dentro l’arnia, o per chiudere le fessure, fissare i telaini; io la uso per medicare ferite o scottature, è preziosa come medicamento e d’inverno io la brucio sulla brace per purificare l’aria della casa. Quando nella tarda primavera dentro l’arnia c’erano celle reali in più succhiavo la pappa reale. Dicono che fa bene ai vecchi e che mantiene giovani. Ha un sapore acidulo ma non sgradevole. Sapore di vita? Forse.
Miele, cera, propoli, pappa reale, polline questo mi davano le mie api e da trent’anni la mia colazione mattutina è latte da vacche al pascolo, pane e miele. Ora, per ragioni di età, ho dovuto smettere di fare l’apicoltore dilettante e ho donato le api, arnie, attrezzature varie, a un appassionato con poche possibilità economiche. Ho conservato il cappello, la cera e la propoli. Seguo l’andamento stagionale dell’apicoltura e mi scelgo i mieli.
È di questi giorni un allarme dell’Unione Nazionale Apicoltori. Dicono che l’apicoltura è in una grave crisi, che la produzione del miele quest’anno è calata del 20-50% e che gli stessi consumi sono diminuiti. Peccato; forse le monocolture estese e la lavorazione meccanica del terreno avranno certamente influito sulla flora mellifera: una fioritura simultanea e poi nulla non è favorevole; anche la stagione non è quest’anno come le precedenti: caldo, siccità, grandinate anche alle api portano carestia. Può capitare ogni tanto una stagione no. Ora sono, siamo, condizionati più che in passato dall’ambiente e dal clima ormai compromessi dall’attività dell’uomo; questo animale che si crede onnipotente e interviene pesantemente a consumare natura, che non è inesauribile.
Per l’allarme di questa stagione insolita ho telefonato a quattro apicoltori per sentire le loro opinioni. Tre, per tradizioni di famiglia, vivono di questo lavoro, il quarto è proprietario di centinaia di arnie che nel tempo dell’anno pratica il nomadismo dalla Calabria alle Alpi. Sì, hanno i loro problemi ma nessuno è catastrofico. Sono del parere che per conservare le api in buona salute ci vogliano cure, attenzione al clima, alle fioriture e nello scegliere buone regine. Oggi le migliori vengono dalla Germania dove si selezionano ceppi che provengono dalla Siberia meridionale e dalle repubbliche dell’Asia centrale; assicurano che sono più resistenti alle malattie.
Mi considero un dilettante ma quando c’era siccità tenevo a loro disposizione acqua pura e fresca; se non c’era raccolto di nettare o polline le aiutavo con miele e polline che avevo messo da parte nel tempo dell’abbondanza e nell’autunno le proteggevo dal freddo con opportuni ripari, lasciando sufficiente nutrimento fino a primavera.
Mario Rigoni Stern
da lastampa.it
n.d.r. consigliamo la lettura di Uomini boschi e api, e di Arboreto salvatico editi da Einaudi