Se la felicità fa un po' specie. La felicità delle orchidee ingannevoli e quella degli umani, la convenienza delle api
Cosa ci insegnano orchidee e api? La loro interazione è ampiamente studiata, perché, come per altri fiori e insetti, le prime usano le seconde per fare sesso: l'ape arriva, entra nel fiore e si sporca la testa di polline che poi trasferirà in un altro fiore, fecondandolo.
Di specie di orchidee ce ne sono addirittura 30 mila e di queste almeno un terzo appaiono decisamente egoiste nei confronti degli insetti; infatti si presentano attrattive, come se contenessero del buon nettare assai energetico e invece no, di cibo per le api non ce n'è. Mimetismo che si trasforma in truffa, escogitata dall'evoluzione. Un sottogruppo di orchidee poi, fa ancora di peggio alle api: con gli odori e con il loro aspetto esteriore, si esibiscono come api femmine, invitando i maschi a fare sesso con loro.
La rivista *Nature*(volume 445, pagina 816) ha raccontato di recente del «sadico» rapporto tra l'orchidea *Ophrys sphegodes* e l'ape solitaria *Andreana nigroaenea*. I giovani maschi di quella specie escono dal nido a inizio di primavera, mentre le femmine usciranno più tardi. Si aggirano allora in cerca del loro primo rapporto sessuale, ma, inevitabilmente inesperti, scambiano quei fiori e quei profumi per delle attraenti ragazze; dunque «ci provano», si infilano nel fiore, si caricano involontariamente di polline e se ne vanno frustrati.
Qui nasce un bel problema per gli studiosi dell'evoluzione, che già intrigò Charles Darwin: secondo la sua teoria, dei caratteri fisici o dei comportamenti si fissano in una specie e si tramandano da una generazione all'altra solo se sono vantaggiosi. Ma quale vantaggio ricaverà mai il maschio dal fatto di tentare dei rapporti sessuali inutili e infruttuosi? Non è uno spreco di energie e un danno? Perché continua a farlo pur pagando un prezzo energetico? Come mai quel comportamento, determinato dai suoi geni, non è decaduto nel tempo, a vantaggio di altri più vantaggiosi?
Quanto all'altro fronte, quello delle orchidee: non danno alcun vantaggio alle api e perciò, dopo il primo tentativo, per le api frustrante, saranno visitate poche volte e quindi verranno impollinate di meno.
Potrebbero persino venire abbandonate del tutto e in ogni caso generano meno prole e dunque, a rigor di logica evoluzionista stretta, prima o poi dovrebbero sparire, soppiantate da altre piante della stessa famiglia che, offrendo del nettare in ricompensa, avranno più figli. Eppure anche loro prosperano eccome.
Intervistati su questo argomento dalla trasmissione Radio3 Scienza, due studiosi italiani, Salvatore Cozzolino dell'università di Napoli e Andrea Pilastro dell'università di Padova, hanno dato risposte interessanti: poiché tra le api maschie c'è molta concorrenza sessuale, è comunque conveniente a ogni singolo individuo provarci sempre, anche se c'è il rischio di scambiare un fiore per una ragazza, perché il non farlo potrebbe far perdere delle buone occasioni.
E le orchidee ingannevoli, per parte loro, continuano comunque a essere impollinate proprio per via di questa convenienza delle api; magari avranno una prole numericamente minore, ma quello che perdono in quantità sembra lo guadagnino in qualità.
La storia è certo affascinante, ma non dovrebbe interessare solo coloro cui piace la natura. Ci dice invece qualcosa di più generale.
Intanto che le interazioni tra specie non necessariamente sono basate su rigidi parametri utilitaristici («io do una cosa a te tu dai una cosa a me»). Seguono anche altri percorsi, talora fortuiti e tortuosi. Ovviamente non ci sono scelte consapevoli a questo livello di interazioni, ma soltanto comportamenti dettati dal Dna. Ma salendo di livelli, agli animali superiori e anche a noi, *Homo sapiens*, si scopre che i comportamenti generosi, altruisti e oblativi (nel senso di dono), sono molto frequenti. Uno studioso italiano, Bruno Manghi, responsabile del centro studi della Cisl di Firenze, ha appena pubblicato al riguardo un libretto, tanto piccolo quanto denso, intitolato «Fare del bene. Il piacere del dono e la generosità organizzata» (Marsilio, 8 euro).
Manghi non si spinge a sostenere che l'economia del dono sia l'alternativa radicale a quella fondata sul mercato o all'intervento dello stato, ma ne segnala per così dire la naturalità e l'elemento di soddisfazione e gratificazione personale che ne ricaviamo.
Insomma fare del bene, fa anche star bene, e questo a molto a che fare anche con la cosiddetta economia della felicità, di cui tanto oggi si parla, infine riscoprendo che sono i beni di relazione, più che quelli materiali a dare senso alla vita. Di opinione opposta è un gigantesco cartellone sui muri di Milano che recita: «I soldi fanno la felcità. Se non sei ricco è perché nessuno te l'ha ancora insegnato».

FRANCO CARLINI
daIl Manifesto giovedì 29 marzo