Solo per hobbisti

Venti giorni agli arresti domiciliari ed una sola lavatina di capo

Sommario:

Premessa.

Quel rompiginocchia dell'acido lattico!

Chi scorribandasse cinque ore sugli sci a Plateau Rosa (3.500 m. l. m.) o altrove, oppure si scatenasse in alcune ore di ballo liscio-latino americano, il giorno dopo, se privo di allenamento, si troverebbe ad avere le gambe irrigidite. Ciò è dovuto al notorio acido lattico che saggiamente interviene per lubrificare l'ingranaggio delle ginocchia che altrimenti si surriscalderebbero troppo...L'acido lattico spruzzato sui favi va a colpire le otto zampine delle terribili varroe, zampette-supporti deambulatori che diventando poco flessibili non riescono più a tenerle a cavalcioni sulle api lasciandole finire ingloriosamente oltre il fondo rete dell'alveare.

Perchè solo l'acido lattico

Per gli amici non ancora rassegnati alle quasi obbligatorie attuali violenze chimiche "naturali" negli apiari, pur avendo tribolato, vorrei gioiosamente segnalare come, nella scorsa stagione apistica, abbia tentato di combattere la varroa in venti imprevedibili arnie con il solo acido lattico ed una gabbietta apposita che limita perimetralmente il reparto maternità della regina ovidepositrice.

Altra premessa: uso volutamente soltanto l'acido lattico perchè, da quanto ne so, risulta essere un presidio sanitario blando, chimicamente poco perturbante. Concede, cioè, ancora alle api (forse) il tempo di poter programmare i loro, recessivi o meno, cromosomi di difesa. Con questo presidio sanitario, invece dei soliti noiosi quattro lunghi richiesti trattamenti, come per ogni altro prodotto del resto, distanziabili, cioè, di una settimana, l'acido lattico se unito al fattore gabbia, permette di dover effettuarne uno solo grazie al fatto che, per venti giorni, è stata offerta alla varroa un'unica possibilità logistica riproduttrice.

Questo unico trattamento all'acido lattico è richiesto perchè, qua e là sui favi-materassini verticali, nei circa dodici giorni precedenti l'imprigionamento della regina ci sono sempre verosimilmente parecchie migliaia di uova-larve d'api ancora allo scoperto, potenziali vittime delle varroa prima che l'apicoltore costringa coattivamente la regina nell'unico reparto ginecologico. "Solo quello del Sant'Anna"-si direbbe qui a Torino. ("Soltanto il favo con la regina ingabbiata"-annuirebbero gli apicoltori all'acido lattico!).

Se le api, infatti, sono capaci di riuscire a prepare anche mille culle modis et formis (come si deve), pure la Regina è maternamente possente da deporre altrettanti mille uovini in un solo giorno. Incredibile! Sappiamo ugualmente che le api lasciano trascorrere circa sette- nove giorni prima di chiudere con il cappellino-opercolo, soprattutto durante la notte con più umidità, le loro amate fraterne mini cliniche ostetriche, dicendo sempre, infine, sottovoce, alla sorella larva o a lui fuco, cocco esclusivo di tutti i 32 cromosomi materni.: "Coraggio. Per un pò resterai sola (o). Noi, però, ti scalderemo ancora dal di fuori. Ti attendiamo. Buona fortuna!".

Dati sugli uovini atletici e l'opercolatura-incappucciamento delle larve. Le regine con posizioni acrobatiche depositorie.

Curiosando la covata della regina, per chi ci vede bene, è sempre piacevole ammirare i suoi uovini che restano circa per tre giorni, ritti in piedi, come autentici atleti. Tali infatti sono. Li si potrebbe mettere addirittura nel frigo in un tovagliolino e loro, una volta usciti, a contatto della pappa reale, sarebbero ancora capaci di lasciar uscire viva dalla loro camiciola la larva. Le api tranquillamente li lasciano soli e sguarniti di cibo perchè sanno che possono resistere per giorni.

La larva femmina, una volta cresciuta perchè rimpinzita di pappa reale, viene opercolata-incappucciata circa al suo settimo giorno di vita. Come per noi non risultano validi anagraficamente i giorni di quando eravamo solo un affettuoso pensiero dei genitori anche per lei non vanno contate le ore in cui era solo in nuce ( lat.: nux, nucis=noce) nell'uovino.

I fuchi vengono opercolati due giorni dopo delle femmine: al nono giorno circa. Ora pur supponendo di trovarci davanti ad una una regina che pratichi un sano controllo delle nascite e si limiti a soli seicento uovini quotidiani, invece dei milleseicento, grosso modo, nei dodici giorni che seguono al suo internamento gabbiale ci possono essere sui favi settemiladuecento larve ancora allo scoperto, teoricamente parassitabili dalle abusive e mortifere varroe.

L'uovino nasce ritto in piedi e poi si accascia. La larvetta, invece, nasce stanca, sdraiata ma poi, irrobustita, sa rizzarsi in piedi fino ad arrampicarsi ed uscire dalla botola superiore..

       ovini              larve                     larve con coperchietto sulla loro cerea tana della vita

Se l'apicoltore è moralmente sano e non teme di sollecitare sue sopite curiosità erogene ostetricie può osservare sempre con grande innocente emozione le regine durante le loro deposizioni materne. Noterà che alcune hanno l’abitudine stereotipa di abbarbicarsi con i loro sei piedini alle celle, di allungare l’indefesso flessuoso sederino sul fondo celletta, tenendo la testa rivolta verso l’alto..

Il loro uovino viene incollato ritto nella parete ascendente superiore della celletta. (Vedere disegno esplicativo, icastico (gr. eikon= immagine). Altre regine, invece, dotate di specifiche qualità ginniche depongono abitualmente le loro creature piazzandosi acrobaticamente a testa all'ingiù. Il loro amato uovino questa volta viene impiantato pure diritto ma nella parete discendente del fondo celletta. C'è infine una terza categoria, forse più anziana, con la pressione arteriosa non del tutto a posto, che ama stendersi con semplicità orizzontalmente sulle cellette deponendo il proprio uovino dove ritiene meglio. E' interessante segnare sul quadernetto delle operazioni questi particolari per vederli sempre con gioia buffamente riconfermati nelle visite successive.

Per assistere a simili spettacoli materni bisogna, tuttavia, non aver fatto uso di dosi massicce di fumo che per le api comporta l’essere state perturbate nella percezione ottimale dell'odore della loro regina, cioè del suo tipico ferormone; vuol dire per giornate intere essere obnubilate nel particolare profumo di quella loro particolare arnia in quella particolare settimana grazie ad apporti specifici di flusso nettarifero e di pollini settoriali. Con questa confusione olfattiva fumogena eccessiva viene offerta possibilità di libero ingresso a tante api che-grazie proprio all'apicoltore- decidono di scegliere questa facile professione di indisturbate borsaiole.

Dove piazzare la gabbia.

Ci sono alveari "politicamente" già schierati..

C'è chi ama iniziare le prime costruzioni a destra, chi a sinistra.

Esistono studi che documentano come si incontrino arnie le cui "nonne" incominciavano da destra e che le figlie-nipoti sciamate, conservano le stesse coordinate. I motivi, comunque, possono essere tanti. Zone d'ombra, correnti d'aria. Inclinazioni géniche. Ognuno veda il caso suo: diventi il loro Meteo zonale.

Non vale la pena piazzare la gabbia al centro nido perchè è sempre difficile salvaguardare i giusti spazi distanziali tra un favo e l'altro. Non va neppure collocata contro le pareti laterali. Forse sta ottimamente al penultimo favo, a destra o a sinistra...

La gabbietta va sempre inserita ad arnia vuota, con calma e precisione millimetrica. Senza evidentemente la barra ermetica superiore può essere messa e lasciata in loco già all'inizio stagione, con dentro un favo su cui le api opereranno liberamente fino al momento specifico di...

Quando costringere la Regina agli arresti domiciliari?

I trattamenti pericolosi antivarroa vanno realizzati al più presto dopo aver tolto i mielari. A luglio agosto le varroe raggiungono il massimo della loro popolazione; se le prime suzioni della varroa sulla prepupa durano in media dai 2-7 minuti, e fino a due ore sulla pupa, sempre da un unico forellino per non infierire troppo autocastrando anche loro stesse, pure fuori celletta la varroa non scherza: tortura mediamente le api con circa diciotto punture-suzioni quotidiane.

Verso il quindici giugno, a Trana, zona della mia transumanza (lat. trans e humus=terra: cambiare posto, terra) fiorisce il generoso castagno con fioriture scalari perchè fortunatamente in zona pedemontana. Miele, quello, che dà ottimi risultati gustativi mercatali, secondo me, se perentoriamente sempre miscelato ad altro: tiglio-millefiori-acacia.

Giugno è, quindi, un mese che devo rispettare nell'attesa. Poi, anche, se il mielario è sopra, il primo di luglio, dedico una intera giornata all'internamento gabbiale delle regine che il 20 ottempereranno la necessaria detenzione totale richiesta.

Nel frattempo le api possono attendere al prezioso lavoro di deumidificazione del miele che potremo togliere con maggiore sicurezza rifrattometrica.

Circa l'inserimento della regina. Alcune modalità. Anche se può sembrare logico non va prelevato il favo su cui la regina sta deponendo. Se ne cerchi uno senza covata, tutto da miele. Con inflessibile coltello disopercolatore lo si operi da ernie eccessivamente panciute; lo si affili in modo che, una volta smielato, possa essere deposto comodamente all'interno della gabbia. Con qualche trucco (una piuma, una foglia) si faccia cadere la regina dal suo favo su un giornale tenuto ad imbuto dal quale poi si farà poi scivolare l'interessata fin dentro alla gabbia; per i più bravi il tutto sarà più spiccio se la regina vi sarà immessa manualmente. Nel pur facile inserimento manuale, perchè la regina non svicoli con fulminee retromarce, è opportuno adocchiare un angolo della gabbietta e non altri spazi. Successo al cento per cento lo si ha sempre stendendo in orizzontale sulle api il favo smielato. In pochi secondi sarà millimetrato da migliaia di api gomito a gomito fra le quali si potrà adagiare la regina che non si sentirà abbandonata neanche per un secondo.

Anche le api dei favi-materassini vicini accorreranno a frotte presso la madre trasferita già solo per il seduttore intriso profumo del favo da poco scappucciato-disopercolato.

Importante. Attiguo a questo favo-gabbia con regina, per chi vuole essere proprio apisticamente intelligente, se non ci fossero "api politicamente già schierate", vanno trasferiti uno o più favi di covata. Stupore. Dopo venti giorni su quel vuoto materassino materno bifronte ci saranno circa novemila celle chiuse. Un'esplosione concentrata generazionale.

Per capire ciò che diremo ora dobbiamo ripassare la lezione apicola entomologa (gr. eh= in; tomos, tomos= parti, settori; discorso (logos), su insetti strutturati a settori) che viene sintetizzata così: i fuchi mamma regina se li fa interamente da sola. Perchè nasca un’ape femmina occorre un partner maschile. Questi dati sulla loro riproduzione aiutano a saper leggere il nostro favo ingabbiato e rifinito: "di cosa si tratta, quanti sono quei buchi neri tra la covata?"

"Sono le tombe svuotate di api femmine con tanto di madre e padre (gr.: diplos, =doppio donde diploidi), come avviene normalmente, ma ciononostante nate cromosomicamente fuchi, (aploidi, alfa privativo= senza). Con cromosomi, cioè, del solo tipo materno?"

Pur essendo state lasciate su un favo totalmente privo di miele si constaterà come come le api abbiano saputo nutrire ugualmente la Regina; come debbano essere andate a rifornirsi di polline su altri favi per preparare la pappa reale nella sala mensa alle nasciture larve-operaie in quella temporanea prigione; come abbiano rifornito le colleghe che lavoravano per preparare le culle rinforzandole con propoli; come siano riuscite a scartare gli eventuali uovini maschi, mangiandoli, se eccezionalmente diploidi, cioè troppo parenti cromosomicamente per una malaugurata fecondazione della regina "sorella", accoppiatasi in cielo con un fuco geneticamente suo fratello.

A parte malattie già olfattivamente individuabili quei buchi potrebbero proprio essere celle svuotate per eccessiva pericolosa parentela cromosomica riconosciuta dalle api laureate in ostetricia ed evacuate da loro con estremo tempismo.

Ci sono studi sulla pochissima o quasi nulla parentela cromosomica delle api basati proprio sui pochi buchi di un favo di covata in rapporto ad un tot di centimetri quadrati. Api poco parenti-come si sa- risultano essere più forti e robuste. Anche i buchi sani ad un bravo apicoltore sanno dire se immettere al più presto regine in età da matrimonio da altre "Borgate", lontane geograficamente almeno una decina di chilometri.

Usare favi malformati, a tutte cellette maschili per poter acciuffare più varroe?

Sapendo che si tratta di materiale che andrà distrutto non si abbia paura ad immettere nella gabbia favi da miele anche malformati, favi a celle pur stiracchiate da precedenti grandi flussi di miele; si offra alle api, avendoli appositamente, favi telaino trappola solo a celle maschili. E ciò oltre che per andare incontro alla preferenza della varroa per le culle ben più fornite dei maschi, con "doppio bagno", stesso prezzo, per i maggior giorni (24 invece di 21) di soggiorno alberghiero per maternità e quindi, utili anche per noi, al fine di acciuffarne di più. Oltre tutto ciò per constatare se è vero quanto ora accennerò.

Queste celle maschili ci possono testimoniare che la regina fa sempre ciò che vogliono le api anche attraverso un imposto preciso millimetrico coercitivo lettino per sala da parto?

Anche se solamente per alcune casette, ho voluto offrire come unico favo ovidepositore per la regina, un "tre finestre", un favo triforo, costruito a sole celle maschili, per constatare se la regina che sapevo avere un anno di vita e, quindi, ancora giovane, deponesse solo femmine…, Se eventualmente le api si rassegnassero (povere creature!) a rimpicciolire il tutto per ospitare la struttura delle più mingherline sorelle femmine o tutti fuchi.

Il dato mi serviva, cioè, a documentare se la regina depone femmine perchè lo vuole proprio o solo per motivi di pura compressione addominale comportante l'apertura della spermoteca maritale con miscelazione ad un suo uovino femminile che neanche farlo apposta tempestivamente passa proprio lì e che stipula subito un contratto affettuoso aritmetico col partner maschile:("Io butto via sedici cromosomi, tu fai altrettanto. Con i rimanenti trentadue faremo nascere un'apina eccezionale. Bella come me e forte come te!"

I due, cioè, si fecondano, grazie alla tipica costringente spazialità della cella; si compenetrano all'istante ed intontiti da simile bruciante amore, finiscono sfiniti, avvinghiati sul sofà, sul fondo celletta del favo dove si prepareranno fra giorni, tra mini convulsioni epilettiche mirate, a strappare il pigiamino (una specie di strip intimo per apicoltori entomologicamente perversi!) dal quale sguscerà fuori una mini larva pacioccona.

Risultato. La calda storia dello slalom parallelo tra un uovino di lei ed uno spermatozoo di lui.

Le api prescelte per l'esperimento a celle maschili, in realtà, hanno inizialmente trasformato qualche decina di celle maschili rimpicciolendole per future femmine ma poi devono essere essere state travolte dalla foga di altre colleghe e dalla stessa irrefrenabile voglia depositrice della regina che non tollera queste lunghe attese in anticamera a far solo di calza. La regina, in nuove famiglie sciamate, allorché ci sono soltanto cinque-sei già cellette rifinite, sfacciatamente depone nella stessa culla anche sei-sette uovini...

Le regine sottoposte al mio test, in pratica, hanno deposto maschi o femmine solo in base al tipo di culla che veniva proposto. Pare, infatti, lo dicevamo già- sia proprio la cella femminile, quella più stretta e più piccola che permette di dare uno spintone, tramite il gluteo destro della regina, ad un uovino femminile in fila indiana come gli sciatori al via dal calcelletto e di far giungere, tramite il pur nobiliare gluteo sinistro, anche un colpo stile famosa "mossa della sciantosa napoletana" al tubetto "dentrificio" della spermoteca, la specifica borsetta di spermatozoi (gr. sperma=seme) facendone avvicinare parallelamente uno all'ovulo di lei, proprio come poco dopo dal cancelletto di partenza in un teorico slalom umano tra un maschio ed una femmina degli ominidi.

 

Se ad uno sciame nuovo, per necessità, si offrono solo favi da melario, spazialmente la metà dei soliti, le api notando l'eccessivo vuoto, li prolungano fino ad altezza di ingresso. E ciò con cellette femminili se la regina è giovane. Con culle metà e metà se hanno la previsione di doverla cambiare nella stagione. Le api, allora, progettano già delle culle maschili da cui sperano possano uscire fuchi robusti, prestanti. Oltre quanto riguarda favi con cellette irregolari, spanciate, ho provato ad inserire nella gabbia anche uno di questi piccoli favi da melario sperando che la parte mancante venisse prolungata e costruita a celle maschili, ma l'arnia in questione sfortunatamente non era forte per cui le api si sono limitate a riempire di covata solo quel mini telaino da mielario. Penso post factum che il far costruire cera con la regina in cattività non abbia senso. Bisogna che le culle siano già tutte pronte per invogliare ad entrare subito in maternità il più alto numero possibile di varroe. Costoro per precisi interessi cercano le api nutrici e non le acrobatiche funamboliche ceraiole.

Nel favetto femminile da mielario usufruito sono stato impressionato dalla quasi totale assenza di varroe nelle cellette. Si trattava di habitat in cui mai era stata deposta covata, prive quindi dei tipici pannolini ( le esuvie) di cui vanno pazze anche le tarme…Una domanda. Per avere dei favi con poche varroe si può offrire alle api una decina di favetti da melario lasciando pure loro il prolungamento, a celle di solito maschile nella parte inferiore, asportabile con le varroe relative imprigionate?

 

Cosa farne della tanta pappa reale e delle larve ancora allo scoperto del favo ingabbiato? Buttarle, oppure...

Ogni volta che prelevo il favo della gabbietta per una sua intelligente aritmetico-statistico-distruzione delle varroe, noto sempre moltissime larve allo stadio-età d'asilo nido immerse in vistosa pappa reale. Mi metto allora ad aspirarla con la pompetta d'un normale boccettino di propoli. Cercando, poi, di non essere visto me la insuflo in bocca trangugiandola come il più disinvolto dei formichieri.

Le larve stesse, se non lo direte a nessuno, ammetto pubblicamente che oso pure ammassarle su un piattino dove poi in cucina, con un velo d' olio, le faccio rosolare per due secondi proprio come le antiche tribù intelligenti che degli insetti non buttavano via nulla o quasi, tanto meno se trattavasi di larve sommerse in qualcosa che doveva essere un loro cibo (la nostra attuale pappa reale).."Ma senti che razza di apicoltore troglodita!"

Come posso contare quante varroe vengono catturate con una gabbietta?

Per sapere quante varroe (almeno pressappoco) riesco a catturare con una singola gabbietta prendo i favi e li disopercolo delicatamente con la classica forchetta pluridentata dell'apicoltore dopo di che li appoggio all'interno di in un grosso secchio sottoponendoli alla pressione di un getto d'acqua. Le larve vengono così sventrate e portate allo scoperto. Rivuoto il liquido in un sacco di nylon, quello con cui filtro il miele, che mi svuota l'acqua salvaguardandomi le larve e le stesse varroe che a loro volta rovescio su una piattaforma al sole dove, pazientemente e con la sana gioia del cacciatore ecologico soddisfatto, posso passarle in rassegna per un conteggio.

Finora ho contato al massimo circa duecentocinquanta prede-varroe. Poche? Dipende dallo stato clinico di infestazione dell'arnia ma proviamo già a moltiplicarle per tre visto che da ogni cella pare escano altre tre femmine abilitate a riprodursi. Fanno settecento cinquanta e così via, ma ciò che conta per me è averle acciuffate senza ingredienti chimici rispettosi delle loro prerogative difensive sia pure lentissime, secolari....

Le regine per nascere impiegano 16-17 giorni. I fuchi, più paciocconi, ventiquattro. Le api femmine impiegano di solito 21 giorni per uscire dalla culla, prima di scernierare con le mandibole il loro piccolo sacco a pelo. Assieme a loro purtroppo usciranno moltissime terribili compagne di "banco", le agguerrite coinquiline varroe. Se non si interviene prima del ventunesimo giorno le nuove e le vecchie varroe torneranno ad invadere i favi ed il lavoro meticoloso dell'ingabbiamento sarà stato inutile. Piuttosto succeda questo, per necessità si può operare anche dal diciannovesimo giorno.

Entro il 20° giorno, l'obbligatoria, improcrastinabile (lat. cras=domani) festa della liberazione della regina.

Ma non è ancora finita. Per essere cacciatori di alto bordo bisogna attendere la totale schiusa di tutte le api "ritardatarie, quelle dell’ultimo imbarco", a regina già finita altrove, dei circa dodici giorni già menzionati.

Attesi questi dodici giorni si faccia finalmente l’unico trattamento all’acido lattico.

( Parentesi relax. Quando si apre una casetta va evitato il fumo eccessivo, omettendo sacchi di iuta ad uso industriale chimico che farebbero svenire chiunque.. Perchè prima non ce se ne spara alcuni colpi di mantice nella bocca o sugli occhi per documentarne la presunta troppo interessata innocuità?.. Allorquando si apre un’arnia il meno violentemente possibile… anche quando solo la propoli non vuole proprio staccarsi dal soffitto-coprinido, le api frignano un pò per le vibrazioni ma subito dopo si calmano. Le arnie senza madre continuano a piagnucolare.. Solo un apicoltore dal cuore di pietra e dal cerume triplo non riuscirebbe a sentirle... )

Ma ritorniamo a noi.

Il ripristino del precedente equilibrio. Le nuove celle reali verranno distrutte o tollerate?

Dopo aver liberato, senza violenze fumogene, la regina dalla gabbietta, nell'arnia torna finalmente la normale serenità per la ricomparsa della titolare; non ci saranno più fonetici sospiri di disperazione... Le api che avevano abbozzato al centro favo una cella reale sostitutiva per la madre, finita inaspettatamente in trasferta, diventano perplesse. Che figuraccia filiale per troppo zelo al fine di assicurare tempestivamente la specie! Alcune api, invece, le più "cattive", si incaricheranno freddamente di distruggere quella culla regale.

In altre arnie, invece, si lascerà correre. Chi vuol nascere, sopravviva pure.

Quella boccettina di profumo ormonale

Nei giorni della prigionia, al di fuori della zona della gabbia dove effettivamente mancava quell'autentica boccetta ormonale espandi-irrora profumo che è la madre, ho notato altre celle reali in costruzione senza tuttavia avere poi degli sciami.

Una volta liberata la Direttrice c'è stata convivenza per varie settimane con due tre nuove regine. Devo precisare del resto che per tutta l'annata ho assistito ad un grande disinvolto cambio o convivenze mensile delle stesse.

 

Per finire. Dedicare un sabato, una giornata intera a togliere ed ingabbiare le regine per non avere dopo troppi giorni a diversa calendarizzazione. 1) Ci potrà essere una casetta che fa perdere quaranta minuti per la ricerca della titolare.. perchè in realtà lei effettivamente non c’è proprio essendo mancata da un solo giorno. 2) Non si riesce a vedere al regina perchè semplicemente nera. Aspetto cromatico mai notatoi fino ad allora. Bisogna abituarsi a guardare con furbizia commissariale anche al colore delle api presenti per intuirne già la direzione di ricerca. 3) Quasi tutte le casette, tuttavia, in tre minuti, lasceranno risolvere il problema della individuazione della madre. 4) Si scrivano le date degli arresti domiciliari su un'agendina. Non ci si fidi della memoria anche se si è fortunatamente ancora preadolescenti.

Detenuta evade da supercarcere. Inconvenienti.

Su 20 gabbie, due-tre regine sono riuscite a scappare da questo mio ecologico Porto Azzurro. Erano regine di piccola stazza. Inserendole bisogna annotarlo nel diario operativo e passare dopo qualche giorno per vedere se sono ancora in cella con le loro premurose secondine. Purtroppo a regina fuggita e riacciuffata va ripresa una calendarietà nuova. Bisognerà posticipare i venti giorni della Festa della liberazione. Per ispezionare se la regina è ancora dentro alla gabbietta talora basta guardare quante api sono attorno al recinto della gabbia. Se sono poche vuol dire che lei naviga già al largo, in piena libertà...

Una domanda.

Invece di distruggerli, è possibile salvare tutti i favi con queste enormi quantità di api nasciture sottoponendole a trattamento chimico classico, dando loro una nuova regina, favi adeguati con miele per l'inverno? Personalmente sono per il no, ma riconosco che è un grosso e lungo discorso, forse, per altre occasioni.

Un materasso matrimoniale o una brandina a muro?Due osservazioni tecnico-progettistiche.

Cosa direste di due coniugi affettuosissimi che pur di risparmiare, acquistano, invece di un comodo materasso matrimoniale, una brandina ad una sola piazza quasi come gli stiliti (gr. stilos=colonna)? Ebbene i progettatori apicoli che per spender meno hanno escluso le due facciate a barrette ed hanno optato per una gabbia a detenzione regina ad una sola parete perchè all'altra supplisce quella lignea impenetrabile della stessa arnia... Con affetto ironico questa loro scelta ricorda le notti degli ipotetici contorsionisti risparmiatori citati, quelli della brandina ad una sola piazza...

Chiunque, infatti, conosca un pò le api sa che il poter toccare la Regina, il fare delle scorpacciate dell' "odore" delle future sorelline larvali, andare semplicemente ad annusare dove la madre è appena transitata.. Tutto ciò per loro è una necessità assoluta. Il "profumo" ormonale della madre è il grande fattore aggregante dell'intera famiglia. Per coinvolgere il maggior numero di api esterne va messo in opera, quindi, un facile ampio accesso alla zona dove opera la madre stessa. Come minimo, occorre, cioè, una gabbietta a due pareti con facili passaggi-entrate ed uscite a sola altezza ape operaia.

Nel punto dell'inserimento della gabbietta sono stato obbligato a tranciare una decina di centimetri del distanziatore per telaini perchè altrimenti quella"prigione metallica apicola" non avrebbe potuto essere appoggiata alle pareti. Le misure della gabbia sono state programmate senza pensare alla già quasi generale utilissima presenza nelle arnie anche del distanziatore! Difficoltà questa, comunque, facilmente risolvibile dato che tutti gli apicoltori sono naturaliter degli artisti .

E' tutto.

A presto, sperando sempre in tempi migliori con meno gabbie, meno brandine ad una sola piazza...

Dal vostro api-tossicodipendente obbl.mo Percelsi Rodolfo.

(Segue programma riassuntivo sul da farsi)

Trattamento all’acido lattico unitamente a gabbietta apposita

Inserire obbligatoriamente (supponiamo) la regina nella gabbia il primo luglio, sul relativo favo smielato.

Liberare la titolare il venti luglio. Il ventuno è già irrimediabilmente tardi.

Sempre dopo aver tolto i mielari, attesi i dodici giorni (1° agosto?) per lo sfarfallamento delle api ritardatarie,( quelle con gli ultimi biglietti "abusivi" di imbarco), si faccia l’unico trattamento all’acido.

Buona fortuna !

NB. Nel testo, trovando scritto ferormoni, non lo si ritenga un errore. Chi ha coniato per primo feromoni ha semplicemente commesso una gaffe etimologica. Perchè voler continuare? Anche "mielari" non la si ritenga una svista. E' presuntuosamente voluta. Si conceda agli artisti scrittori qualche licenza poetica! Grazie e buon lavoro. A presto.

Percelsi Rodolfo. Via Po, 83. La Loggia (To). Tel.0119627976 Modem fax-con preavviso; e-mail adolfope@tin.it