Giuseppe: Santo falegname e le arnie Cenni sulla storia dell’apicoltura in Slovenia
di Renzo Barbattini* e Franc Šivic **

*Dipartimento di Biologia applicata alla Difesa delle Piante – Università di Udine
** Associazione apicoltori della Slovenia – Ljubljana

II 2 maggio 2004, con la partecipazione di circa 1500 apicoltori, è stata benedetta e riaperta al culto a Lansprez (Slovenia) la chiesa di San Giuseppe (fig. 3) abbandonata dopo la seconda guerra mondiale e restaurata grazie all'impegno dell'Associazione apicoltori sloveni.
L'intervento di questa Associazione si spiega col fatto che nella capella laterale della chiesa di San Giuseppe vi è la tomba di Peter Pavel Glavar (1721-1784)1 , “colonna” dell'apicoltura in Slovenia (fig. 2). Ogni anno, in questo luogo si tiene una incontro culturale rivolto agli apicoltori sloveni con la partecipazione anche di apicoltori provenienti dall’Italia.
In questa capella è esposto un dipinto eseguito nel 2002 dal pittore sloveno Branco Cusin 2 (fig. 1).


fig1-San Giuseppe falegname, dipinto di Branco Cusin del 2004 (Foto Sivic)

fig2-Cappella con tomba di Peter Pavel Glavar (1721-1784) (Foto Sivic)

fig3-Chiesa di San Giuseppe a Lansprez (Slovenia) (Foto Sivic)


1. P. P. Glavar acquistò la tenuta di Lansprez nel 1766. Nello stesso anno ristrutturò il castello e fece costruire la chiesa di San Giuseppe (lunga 15 m. e larga 10 m.) esattamente nel luogo dove prima era situata una piccola cappella.
2.Branco Cusin, da Jesenice (vicino al lago di Bled) non è un allevatore di api ma è un grande appassionato dell’apicoltura: infatti in molte sue opere si ritrovano riferimenti alle api, agli apiari, agli apicoltori ecc. Oltre alla tecniche tradizionali di pittura, egli ne utilizza un’altra abbastanza particolare, poiché dipinge tavole di legno col propoli; i suoi lavori eseguiti con questa tecnica sono stati esposti in occasione del Congresso di Apimondia, tenutosi nel 2003 a Ljubljana (Slovenia), dove ha vinto una medaglia di bronzo.Tra questi si ricorda il “Sant’Ambrogio, protettore degli apicoltori italiani e sloveni”, dipinto con il propoli su legno d’acero (fig. 4). Branco Cusin ha tenuto numerose mostre in Slovenia e in Austria; circa quindici anni fa è stato invitato dall’Associazione Apicoltori dell’Alto Adige a dipingere alcuni vecchi apiari di quella regione.

<-fig4.Quadro realizzato con il propoli su legno d’acero da Branco Cusin raffigurante Sant’Ambrogio (Koroška Bela, Slovenia, 2002) (Foto Sivic).


San Giuseppe e le arnie
Il quadro di Cusin raffigura san Giuseppe, molto pensieroso, appoggiato al suo tavolo da lavoro: essendo un falegname (come denota la sega in bella vista) egli si sarebbe dedicato, secondo l'A. del dipinto, anche alla costruzione di arnie. Infatti, sul tavolo da lavoro vi sono tre arnie in legno di tipo sloveno. La posizione di san Giuseppe pensoso è tradizionale, nell’arte antica; risale, infatti, alle più arcaiche raffigurazioni, e perdurò ben oltre il Rinascimento, insieme ad altre tipologie figurative, che vede S. Giuseppe in attitudine operosa e partecipe, intento a svolgere compiti pratici (e a partire dal Seicento verrà raffigurato al lavoro, nella bottega di falegname, attorniato dagli attrezzi del mestiere minuziosamente descritti). La posizione pensosa, che fu a lungo prevalente, va sicuramente riferita all’episodio dell’apparizione dell’angelo, che gli svela, in sogno, il disegno divino3 : tale iconografia ha influenzato gli artisti, che lo rappresentarono così anche nelle Natività.
Nelle icone della Chiesa d'Oriente, che hanno conservato l’impianto iconografico tradizionale S. Giuseppe ricorre immutato, raffigurato cioè in questa posizione tipica.
Per quanto riguarda, poi, le descrizione delle arnie, è opportuno analizzarne la forma, che si differenzia da quelle più note.
In Slovenia sono molto diffuse le arnie orizzontali: il modello raffigurato nel quadro risale al 18° secolo; si tratta di arnie di legno di abete o di tiglio, lunghe in media 70 cm, larghe tra i 25 e i 30 cm e alte tra i 18 e i 22 cm. Sui frontali di queste arnie, vi sono ritratte scene di arte popolare; un bell’esempio si riscontra nella fig. 5 ove è rappresentato un episodio del Vecchio Testamento: i fratelli di Giuseppe stanno vendendo ai commercianti egiziani il loro giovane fratello4 . Il parallelismo tra Giuseppe l’ebreo e Giuseppe padre putativo di Gesù, che qui viene adottato sul piano iconografico, ricorre frequentemente nella letteratura e nell’iconografia relativa al santo.

fig5-Immagine eseguita su un frontale di un’arnia orizzontale (Museo di Radovljica – Slovenia)

fig6- Apario composto di arnie (modello Znidersic) a Baselj vicino Kranj (Slovenia) (proprietaria dell’apiario è la signora Emilia Rakovec) (Foto Sivic)

Queste arnie orizzontali sono modello “kranjic”: basse, senza telai. Portano il nome "kranjic" perchè il loro utilizzo prese piede originariamente in Alta Carniola, la cui capitale è Kranj. Successivamente questo tipo di arnia si è diffuso in tutta la Slovenia, e cento anni fa esso è stato sostituito dalla arnia moderna di tipo Znidersic (fig. 6).

3 L’angelo - conformemente al Vangelo di Matteo (Mt. 1,20) - rivela a s. Giuseppe, nel sonno, di non temere di prendere con sé Maria, perché ciò che in lei avverrà - vale a dire la gestazione - sarà opera dello Spirito Santo.
4 di questa decorazione non si conosce l’autore, probabilmente è un appartenente all’antica famiglia Subic di Skofja loka.


I simboli
Tornando al quadro di Cusin, va sottolineta una particolarità: sul frontale di un’arnia vi è rappresentata la stella di David: sta a significare l’appartenenza di Giuseppe alla tribù di Davide, re di Israele; sul frontale, poi, di un’altra arnia è raffigurata la colomba, simbolo della pace, annunciatrice della nuova creazione operata da Dio dopo il Diluvio (Gn 8,11).
Appoggiata al tavolo vi è una sega; questa è una figurazione decisamente moderna, come, d’altra parte, è moderna la sua comparsa nell'attrezzatura della bottega del Santo falegname (infatti essa si sviluppa e si diffonde in campo artistico nel 1600). La sega è un attributo, come lo è il bastone, ed essa fa riferimento al legno dell'artigiano. Nell’arte, per identificare più facilmente i Santi, si è voluto affiancarli di un oggetto o di un animale riferibile a un miracolo o al martirio (ad es. la graticola di San Lorenzo, gli occhi di Santa Lucia, i seni di Santa Agata) o a una caratteristica biografica o della tradizione (il drago di San Giorgio, il cane di San Rocco, il porcellino di Sant’Antonio). San Giuseppe falegname, appunto, può avere una sega; nell'arte antica quest'iconografia è piuttosto rara, se ne conoscono poche attestazioni finquando, nel '500 e soprattutto nel '600, si diffuse il tema della Sacra Famiglia della bottega, in cui appunto il santo è contornato dagli strumenti di lavoro, tra cui spicca la moderna sega, come nel quadro del Cusin (fig. 7).5

fig7-Copertura di Evangeliario (V sec., Tesoro del Duomo di Milano).
A completare la scena si notano in primo piano un vaso di gigli e, sullo sfondo, Maria in preghiera: di fronte a lei si distinguono due fasce bianche. I gigli sono simbolo della purezza di Maria e Giuseppe, le fasce indicano la presenza del Bambino Gesù.


5 Un’immagine decisamente più arcaica di San Giuseppe con la sega quale testimonianza di arte paleocristiana si ritrova nella copertura di Evangeliario in avorio del V sec., conservata a Milano, nel Tesoro del Duomo: nella scena della Natività è chiaramente rappresentata la figura di Giuseppe, che trattiene con la mano la sega, accanto alla gamba sinistra (Fig. 7).

Chi era P. P. Glavar
A circa 20 km a nord di Ljubljana, vicino all'aeroporto di Brnik, si trova il paese di Komenda. Questa località è nominata per la prima volta in un atto ufficiale del 1163 ed è indicato come “parrocchia di San Pietro”. L'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, divenuto più tardi Ordine di Malta, è titolare di questa parrocchia dall'anno 1256.
[Fig. 8 – Panorama di Komenda (Slovenia) oggi con la chiesa di San Pietro, ristrutturata da Pietro Giacomo di Testaferrata (Foto Sivic).]
Nel 1715 vi giunse, proveniente da Malta, il barone Pietro Giacomo di Testaferrata6 ; egli fu parroco e amministratore della tenuta di Komenda fino al 1734, e s’impegnò anche nella ristrutturazione della chiesa di San Pietro (fig. 8) e di altre tre chiese vicine. Venne poi trasferito e ricoprì incarichi a Ravenna, quindi a Roma 7.
Il 2 maggio 1721 il barone trovò davanti alla porta del suo castello a Komenda una cesta con dentro un neonato. Sul biglietto allegato vi era scritto: “Questo bimbo è stato battezzato come Peter Pavel Glavar (Pietro Paolo Testa)“. Oggi s’ipotizza che questi fosse il figlio naturale del barone Testaferrata, però non si sa chi fosse stata sua madre (sicuramente una donna slovena). Il barone, pur rimanendo in contatto con Glavar durante tutta la sua vita, non lo riconobbe mai come suo figlio.
Adottato dalla famiglia Basai, che abitava vicino a Komenda e in cui erano già presenti diversi bambini8 , Peter Pavel Glavar si rivelò un ragazzo molto intelligente, frequentò la scuola media a Ljubljana e compì gli studi di teologia e di filosofia a Graz (Austria), divenendo, appena ventitreenne, dottore di teologia e filosofia.
Avendo saputo che suo padre naturale poteva essere il barone Testaferrata, volle conoscerlo; si recò quindi a piedi da Komenda a Fiume, poi in nave ad Ascoli. Il barone lo accolse come un vero figlio; P. P. Glavar rimase ad Ascoli un anno e nel frattempo imparò la lingua italiana9 .
Trascorso un anno, P. P. Glavar tornò a Komenda dove ricoprì l’incarico di parroco e di amministratore (come il presunto padre naturale, barone Testaferrata) della tenuta appartenente all'Ordine di Malta.

6 Era discendente di un’antica famiglia patrizia romana: i Capo di Ferro, che nel 1475 si erano trasferìti da Roma a Malta.
7 Nel 1734 fu trasferito a Ravenna, in seguito a Nursia e ad Ascoli; nel 1753 divenne segretario della Congregazione per i Vescovi in Vaticano. Morì nel 1763 a Malta, dove fu sepolto nella chiesa di Santa Teresa a Cospicua, vicino La Valletta.
8 Dei figli dei Basai si ricorda Bartolomeo, coetaneo di Peter Pavel Glavar. I due amici crebbero assiemc come due fratelli e, nell’adolescenza, frequentarono, con ottimi risultati, il liceo dei gesuiti a Ljubliana.
9 Tutta la corrispondenza intercorsa (circa 100 lettere) tra i due, è redatta in italiano.

Glavar e l’apicoltura
Peter Pavel si dedicò a diverse attività, sempre con buoni risultati: alla predicazione, alla scrittura, all’insegnamento (nella sua scuola privata), all’agronomia e all’allevamento delle api. A proposito di quest’ultima attività occorre porre l’accento sul fatto che divenne uno degli apicoltori della regione con il maggior numero di alveari: ne gestiva più di 300 ed esportava il miele e la cera, da lui prodotti anche in Italia.
Alla morte del padre, nel 1763, il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, Emanuele Pinto de Fonseca, non volle prorogare il contratto amministrativo a P. P. Glavar, essendo venuto a conoscenza del pesunto legame di parentela fra questi e il barone, cosa disonorevole per l’Ordine, di cui il barone era stato membro.
Questa vicenda rattristò molto P. P. Glavar il quale si sentì abbandonato. Avendo, però, in vent’anni guadagnato molto denaro e, da buon amministratore, avendo accumulato risparmi, senza alcuna difficoltà, fu in grado d’acquistare nel 1766 una tenuta con castello a Lansprez10 . Da allora egli dedicò tutte le sue energie all’agricoltura e all’apicoltura. In particolare vanno ricordate due realtà da lui fondate: – la prima Scuola privata di apicoltura dell’impero austriaco11
– la Cooperativa che riuniva gli apicoltori dei dintorni.
Degno di essere ricordato è anche il testo d’apicoltura - primo libro per apicoltori in lingua slovena - che scrisse negli ultimi anni della sua vita.
P. P. Glavar morì nel 1784 e fu sepolto nella chiesa di San Giuseppe a Lansprez dove già riposava il suo miglior amico, il generale Bartolomeo Basai12 , spentosi un mese prima di lui.


Prima di morire, egli aveva stilato il suo testamento, in cui era scritto: “Vendete la mia tenuta e il mio castello; con i soldi ricavati, costruite a Komenda un ospedale(fig 9) per i più poveri tra gli abitanti di Komenda e di Lansprez13” . Il castello fu demolito durante la seconda guerra mondiale e la chiesa di San Giuseppe fu abbandonata; nei primi anni del III millennio, come si è detto, essa è stata restaurata grazie all’intervento dell'Associazione apicoltori sloveni, con l’aiuto dello Stato.
Con questo excursus storico, si è voluto far conoscere l’importanza della figura di Peter Pavel Glavar per la storia dell’apicoltura slovena; egli oggi rappresenta un ponte fra gli apicoltori italiani e sloveni in quanto nelle sue vene “scorreva sangue sloveno e italiano”: quindi merita particolare attenzione da parte delle realtà apistiche delle due Nazioni 14.
Nello stesso tempo, si è voluto rimarcare l’originale realizzazione pittorica, presente nella chiesa che conserva le spoglie di P. P. Glavar, su S.Giuseppe “amico” degli apicoltori sloveni. Il pittore Branco Cusin, infatti, ha fatto avvicinare San Giuseppe agli apicoltori come falegname che fabbricava anche le antiche arnie slovene e l’opera, seppur tipologicamente inconsueta, è certamente riferibile alle memorie del luogo.

10. La località si trova circa 50 km a est di Ljubljana, vicino a Novo Mesto.
11. Le lezioni si tenevano nel suo castello.
12. Bartolomeo Basai, figlio dei genitori adottivi di Pavel, e suo fratello, studiò presso l’accademia militare di Vienna; giovane ufficale, fu destinato alla compagnia di stanza a Karlovac (Croazia) dove organizzò la difesa della città contro i Turchi. Poiché in quest’occasione dimostrò ottime doti militari, succesivamente fu nominato generale dell’esercito austriaco.
13. L’ospedale venne poi costruito e funzionò fino al 1947, quando fu chiuso dal governo comunista. Oggi è la sede del Comune.
14. A questo proposito val la pena segnalare che l’Associazione apicoltori sloveni sta preparando un programma turistico e apistico denominato “Calchiamo le orme di P. P. Glavar”. Grazie a questa iniziativa di “apiturismo” che prevede la visita dei luoghi (Komenda, Lansprez) dove questo personaggio viveva e lavorava, gli apicoltori sloveni e italiani potrannno conoscerlo meglio; contemporanemente gli italiani potranno raccogliere informazioni sull'apicoltura slovena del passato e su quella di oggi.



Bibiografia consultata
BARBATTINI R., FUGAZZA S., 2007 L’ape nell’iconografia dei Santi (II parte). Apitalia, 33 (6): 33-37.
GNILŠAK I., 1997 - I racconti degli alveari. Atti Conv. naz. “Afs”, Tolmezzo (UD), 20 settembre 1997. Quaderni dell'Associazione Amici dei Musei e dell'Arte n. 4: 55-73.
ŠIVIC F., 1997 – La tradizione dell’apicoltura in Slovenia. Atti Conv. naz. “Afs”, Tolmezzo (UD), 20 settembre 1997. Quaderni dell’Associazione Amici dei Musei e dell’Arte n. 4: 22-35.
ŠIVIC F., 2003 – Ziveti s cebelami (Vivere con le api). Ministrsvo za kmestijstvo, gozdarstvo in prehrano (Republike Slovenije): 100 pp.

Ringraziamenti
Per la collaborazione prestata si desidera ringraziare la professoressa Stefania Colafranceschi (Roma), don Sandro Piussi (Udine), il prof. Franco Frilli (Udine) e il prof. Pietro Zandigiacomo (Udine).

Da Apimondia Italia n.7/2007