Achille Tazio, Leucippe e Clitofonte II, VII:
Era accaduto che il giorno precedente la fanciulla si fosse messa a suonar la cetra, ed era presente anche Clio, e le sedeva accanto, ed io passeggiavo; e improvvisamente un’ape, volando chissà da dove, punse la mano di Clio. E questa lanciò un grido, e la fanciulla, balzata su e deposta la cetra, esaminava la ferita e nello stesso tempo le faceva coraggio, dicendo di non affliggersi, giacché lei le avrebbe fatto cessare il dolore, dicendo due formule d’incantagione, che aveva appreso da un’egiziana, buone contro le ferite delle vespe e delle api […]
Quella volta [io] posta la mano sul volto, fingevo di essere stato punto e di sentir dolore. La fanciulla allora, fattasi presso scostava la mia mano e domandava dove fossi stato punto, ed io “Al labbro”, dissi “Ma perché non mi fai l’incantesimo, o carissimo?” ed ella si avvicinò, e pose sopra la mia la sua bocca, allo scopo di operar l’incantesimo, e sussurrava qualche cosa sfiorando appena le mie labbra ed io la baciavo in silenzio, soffocando il rumore dei baci.