L’ape nell’arte antica
Gli studi paleontologici hanno permesso di collocare il tempo dello sviluppo degli Apoidei, solitari e sociali, attorno a 135 milioni di anni fa, quando le Angiosperme si differenziarono e divennero dominanti tra le specie botaniche presenti. Da allora api e fiori hanno percorso insieme il cammino evolutivo che ha portato allo sviluppo e al perfezionamento del loro rapporto. L’uomo si inserisce nella storia dell’ape milioni di anni dopo. Si può supporre che i primi uomini si siano accorti della presenza di questo insetto, che nei suoi nidi accumulava una sostanza densa, dolce e gradevole, e che per questo lo abbiano depredato, rischiando le dolorose punture. Molte testimonianze si ritrovano nella cosiddetta “arte rupestre” (Crane, 2001) con numerosi graffiti riportanti scene apistiche di antichissima data. Nelle figure che seguono se ne possono apprezzare alcune:

• il primo disegno, molto rudimentale, di una scena apistica rappresentante la raccolta del miele, risale a oltre 7000 anni or sono (Neolitico) ed è un graffito presente su una parete della grotta Cueva de la Araña (grotta del ragno), presso Bicorp (Valencia) nel levante spagnolo (Fig. 1). Vi è raffigurata una persona (forse una donna) sospesa a liane con una bisaccia e numerose api che le ronzano attorno mentre sta raccogliendo alcuni favi di miele da un anfratto di roccia; più in basso si può notare una seconda figura (probabilmente un adolescente), anch’essa dotata di un idoneo contenitore (Crane, 1983; Marchenay, 1986; Garibaldi, 1997).

• Un’altra pittura rupestre, proveniente da un riparo sottoroccia nelle Matopo Hills (Zimbabwe), presenta particolare interesse (Fig. 2). Essa ci mostra un uomo intento ad affumicare un nido di api per poterne prelevare il miele: probabilmente questa è la più antica rappresentazione dell’impiego del fumo in apicoltura (Crane, 2001; Contessi, 2004).

• Interessante appare pure quella ritrovata sulle FirengiHills (India) (Fig. 3) in cui il “cacciatore” di miele procede carponi lungo un ramo di un albero portante più nidi costruiti presumibilmente da Apis dorsata, specie d’api presente tuttora sulle montagne dell’India.

• La pittura rupestre ritrovata a Jambudwip Sheleter (Mahadeo Hills, India centrale, 500 a. C.) è stata eseguita, contrariamente alle altre, “in bianco” (Fig. 4). Essa rappresenta due persone intente a raccogliere miele da un nido di api: quella più in basso (una donna) sostiene un cesto nel quale viene raccolto il miele che fuoriesce dai favi del nido rotto dall’uomo mediante una lunga pertica.



Nel bacino del Mediterraneo esistono le testimonianze più antiche dell’attività apistica. Infatti oltre al graffito iberico sopracitato, sono da ricordare il bassorilievo del tempio di Neuserre a Abu Ghorb (circa 2400 a. C.) (Fig. 5) e le decorazioni della tomba di Pabusa a Luxor (660-625 a. C.) (Figg. 6a e 6b) che documentano l’importanza economica dell’ape nell’antico Egitto (Leclant, 1968; Crane e Grahm, 1985a; Crane, 2001). In particolare la Fig. 5 riporta la più antica rappresentazione di alveari: infatti si notano a sinistra un “apicoltore” egizio che sta prelevando favi e a destra altri “apicoltori” che stanno spremendo i favi estratti e depositando il miele in otri.



Presso questa civiltà, i Faraoni, nel momento dell’avvento al trono, assumevano un nome alquanto composito e una parte di esso (il prenome) era preceduto dall’espressione “colui che appartiene al giunco e all’ape: re dell’Alto e Basso Egitto” (Gardiner, 1971; Grimal, 1998). Un bell’esempio1 lo si ritrova nella titolatura di Tutmosis III, faraone della XVIII dinastia che regnò dal 1457 al 1424 a. C. (Fig. 7).

Il geroglifico del vegetale (tradotto come “giunco”) e quello dell’insetto (tradotto come “ape”) rappresentavano rispettivamente l’Alto Egitto e il Basso Egitto: associati indicavano che il Faraone regnava su entrambe le regioni (Théodoridès, 1968). Questa dicitura pur non rientrando nel segno grafico oblungo denominato “cartiglio”2 faceva parte integrante della titolatura reale; altri esempi si ritrovano su alcuni documenti del Museo Egizio di Torino (D’Amicone, 1982). L’uso dell’ape come simbolo regale è intuibile dal fatto che nell’alveare vi è un individuo (l’ape regina) che è a capo di una società particolarmente laboriosa.

Gli antichi Greci decoravano le ceramiche e utilizzavano i vasi come doni che avevano un valore simbolico. Quelli denominati lekythoi erano originariamente destinati a contenere olio e profumi; in seguito vennero adibiti ad uso funerario.



La Fig. 8 riporta una lekythos di produzione attica a figure rosse risalente al quinto secolo a. C. e conservata alMuseo dell’Agorà di Atene; su questo vaso è dipinto un soldato con lancia, elmo e scudo sul quale è decorato un grosso imenottero apocrito (non è possibile stabilire se sia un’ape o una vespa) (Roscalla, 1998). Poiché sia api che vespe sono munite di pungiglione come organo di difesa, probabilmente è da interpretare in tal senso il motivo di questa raffigurazione sullo scudo difensivo del soldato greco.

Risale al 1700 a. C. (arte cretese, periodo minoico) il famoso Pendaglio di Mallia (Fig. 9). Esso proviene da Malée sulla costa Nord di Creta ed è conservato presso il Museo archeologico di Heraclion a Creta. In questo splendido “bijou” due api (secondo alcuni sarebbero, però, due vespe!) depositano una goccia di miele sul favo (rappresentato dal disco granulato posto al centro) (Ruttner, 1979).

Il ciondolo non sarebbe un semplice monile decorativo, frutto della fantasia e dell’abilità tecnica degli orefici cretesi, ma un gioiello regale, indossato dal sovrano che tradurrebbe visivamente il ritmo del potere cretese. Infatti il disco granulato essendo costituito da nove cerchi concentrici, sarebbe il simbolo del periodo di regno di nove anni. La parte alta e quella bassa del gioiello circoscriverebbero la struttura luni-solare del tempo entro cui il re esercita le sue responsabilità: il sole sarebbe rappresentato dalla piccola sfera posta sopra la testa delle due api mentre per avere riferimenti alla luna bisogna osservare i tre cerchi appesi alle ali e al corpo delle api. Essi indicherebbero i tre periodi lunari: quello di sinistra “la luna crescente”, quello al centro “la luna piena”, quello di destra “la luna calante”. Questi cerchi sono contornati da 29 granellini che rappresenterebbero i 29 giorni del mese lunare (Bloedow e Bjork, 1989; Roscalla, 1998). Nella Grecia antica era diffusa l’apicoltura e l’ape era ripresa in diverse rappresentazioni artistiche. Tra queste molto famosa è la numismatica: gli antichi Greci, infatti, hanno prodotto le monete artisticamente più belle che siano state mai coniate. Esse riproducevano scene mitologiche, ritratti e animali (insetti inclusi: api, scarabei, farfalle, cicale, formiche, cavallette e mantidi). Numerose monete della ricca collezione, presente presso il British Museum di Londra, riportano l’ape (Fig. 10).

Si possiedono pochi dati sull’apicoltura presso le antiche civiltà dellaMesopotamia; gli antichi Babilonesi (circa 1600 a. C.) veneravano il dio Mithra che era rappresentato come un leone che teneva nelle sue fauci un’ape (Fig. 11). Perché proprio un’ape? Perché ape, nella lingua locale, si pronunciava “Dabar” e “Dabar” era anche il termine per indicare la “Parola” (divina). Questo termine verrà utilizzato successivamente anche dagli antichi ebrei per invocare ilMessia (Müller, 1830). Nel 1843 ad Oliena (NU - Sardegna) fu rinvenuta una statuetta (16 cm) in bronzo raffigurante un uomo nudo con il corpo coperto di api (Fig. 12). La loro presenza permette di identificare l’uomo rappresentato con Aristeo, eroe civilizzatore che insegnò ai Sardi la coltivazione degli olivi e della vite, la lavorazione del latte e l’apicoltura (Spano, 1885; Floris e Prota, 1989; Spiggia, 1997). Questa statuetta è conservata nel museo archeologico di Cagliari (Santoni, 1989). La sua datazione non è certa, presumibilmente è di epoca anteriore alla conquista della Sardegna da parte dei romani (238 a. C.). Poiché Aristeo era venuto dalla Grecia, si può ipotizzare un collegamento con l’insediamento di colonie greche nelle zone montuose dell’isola. E’ noto che la Sardegna è stata anticamente colonizzata dai Fenici e dai Cartaginesi, i quali trovarono sicuramente nell’isola un’apicoltura già sviluppata (Floris, 2000); la presenza greca, molto più limitata, è riferibile alla stessa epoca: probabilmente verso il VI secolo a. C. Anche in epoca romana si utilizzavano i prodotti dell’ape, come in un dipinto allegorico ove è rappresentata la raccolta di favi dalla cavità di un albero (Fig. 13) (Frilli, 2002).

















Esempio significativo di un filone di arte popolare romana caratterizzato dalle scene illustrative di arti e mestieri, proprio dell’ultima età repubblicana e della prima imperiale (I sec. a. C.), è il rilievo sepolcrale con iscrizione diTito Paconio Caledo e della moglie Ottavia Salvia (Fig. 14). Ai suoi lati si notano i riquadri con i profili di lui (a destra) e di lei (a sinistra); al centro è rappresentata una scena campestre con varie operazioni agricole eseguite da tre schiavi, alla presenza di Paconio, in piedi, nell’atto di impartire ordini mentre tiene la tabella per le registrazioni (Manino, 1982). Le strutture rotonde sono gli alveari: esse possono essere interpretate come alveari cilindrici visti di fronte, allo stesso modo della struttura rotonda al centro del già citato pendaglio di Mallia.

Alcuni anni fa un archeologo inglese ha dato un’interpretazione piuttosto fantasiosa di questa scena, affermando che sul rilievo sono rappresentati non alveari e api, ma cavoli e cavolaie (“farfalle” appartenenti all’ordine dei lepidotteri) (Crane e Grahm, 1985b)3. Le proporzioni tra le figure non sono naturali, ma alludono alla diversa importanza da attribuire ai vari elementi: il padrone è alto circa il doppio dei servi e all’insetto (ape o cavolaia che sia) che vola al centro della scena sono conferite dimensioni addirittura colossali. Gli insetti, pur nella complessità delle loro forme, sono stati utilizzati come decorazioni e come simboli anche nella difficile arte delle terrecotte. La conferma viene dal ritrovamento, avvenuto il 29 marzo 1976 in località S. Ambrogio ad Arsago (VA), di una tomba romana ad incinerazione di una donna. II corredo di tale tomba, ora esposto al Civico museo Archeologico di Arsago, comprende, tra i vari oggetti, un bicchiere di terracotta “tipo Aco”, decorato con api, grazie al quale è possibile far risalire cronologicamente la tomba all’età Augustea (Fig. 15). Il bel bicchiere, alto 11,1 cm e con diametro di base di 4,2 cm, è di colore beige rosato. In alto è decorato da un giro di teste femminili con profilo a sinistra, sotto le quali compare la firma: C.AO.C.L.AESCINUS (C(aius) A(c)o C(ai) L(ibertus) Aescinus). Ci sono inoltre figure femminili intere che vanno verso sinistra e sono alternate a scudi rettangolari e ovali. Sotto ognunasua tomba oggetti e sostanze che richiamavano queste leggende per far piacere alla sua anima, col duplice scopo di ingraziarsela e di ottenere i favori degli dei nelle questioni della vita (Magri, 2004). Da questo primo contributo si può quindi cogliere come l’ape sia stata presente nella storia dell’umanità fin dalla “notte” dei tempi: dalle più antiche civiltà, infatti, si hanno testimonianze artistiche sullo stretto legame con l’uomo.Come dicono bene Sabatini e Zucchi (2002), il rapporto uomo-ape è sempre stato un rapporto privilegiato rispetto a qualsiasi altro rapporto uomo-insetto, non è mai stato accompagnato da ribrezzo o paura e, nonostante l’ape possegga un “potenziale pericoloso”, è sempre stata elevata a simbolo di socialità e operosità.

RINGRAZIAMENTI Desideriamo ringraziare la prof.ssa Paola Càssola dell’Università di Udine, il prof. Franco Frilli dell’Università di Udine, il prof. Ignazio Floris dell’Università di Sassari, la prof.ssa Caterina Furlan dell’Università di Udine, il sig.Mario Lauro di Milano, il sig. Maurizio Lira di Cocquio Trevisago (VA), il dott. Filippo Magri di Cremona, il sig. Luigi Manias di Ales (OR), il prof. Aulo Manino dell’Università diTorino, la dott.ssa Livia Persano Oddo dell’ISZA, Sez. op. per. Apicoltura (Roma), il prof. Fabio Roscalla del liceo classico di Pavia e la dott.ssa Anna Gloria Sabatini dell’INA (Bologna) per la collaborazione prestata.


Autori
Renzo Barbattini Dipartimento di Biologia applicata alla Difesa delle Piante Università di Udine
Stefano Fugazza Galleria d’Arte Moderna “Ricci Oddi” Piacenza

Tratto da Apitalia, 33 (10) (2006).

1 Nota è la titolatura di Ramsete II, 1279 - 1212 a.C., XIX dinastia) (Longo e Di Mauro, 2004). 2 Il cartiglio è in realtà la rappresentazione di una corda “magica” che, nelle intenzioni degli antichi egizi, serviva a proteggere il nome del faraone. Il primo faraone che usò il cartiglio per il suo nome di nascita fu il faraone Snofru (2630-2605 a. C.), padre di Cheope, della IV dinastia. 3 D’altra parte gli alveari sono a forma di cavolfiore e su un rilievo funerario starebbero forse meglio le cavolaie al posto delle api, perché all’atto di sfarfallare - analogamente a tutte le farfalle - abbandonando la crisalide, potrebbero essere intese come rappresentazione dell’anima che lascia il corpo.