Mantenere la competenza immunitaria nell’alveare

Il concetto di competenza, ancor che difficile da misurare è sufficientemente chiaro a tutti . In questo caso significa capacità di fare nei confronti dei patogeni .Si deve ritenere sulla base della letteratura che una migliore competenza immunitaria dell’ape e dell’alveare non sia il risultato di una mera maggior disponibilità dei precursori di AMPs,NF-kB etc, ma la conseguenza di una buona fitness in generale, condizione di cui la proteina vitellogenina sembra il larga misura responsabile data la varietà di funzioni biologiche cui è deputata . E’ evidente che determina la sopravvivenza dell’alveare.
L’ape intesa come singola ha capacità immunitarie,di gran lunga inferiori a quelle degli insetti individuali. Per questo motivo confida molto sulle strategie difensive della sua comunità ,l’alveare e vi è uno strettissimo e indissolubile legame fra la fitness della singola ape e quello dell’alveare. La salute e la durata di vita della singola ape dipendono dall’alveare e il benessere dell’alveare dipende dalla salute della singola ape in un intreccio molto complesso che deriva dalla socialità. E’ possibile per vari motivi che vi siano api deboli in alveari forti , ma non è possibile che vi siano api forti in alveari deboli .
L’ape ha come patogeni batteri , funghi e virus di diversi tipi. Di questi tempi il problema è che tendono a insidiare l’alveare facendo lega. Secondo Gatschemberger e colleghi , per quel che riguarda le infezioni da batteri,la risposta immunitaria della singola ape e' adattata ai differenti stadi di vita e ai relativi rischi ambientali. La risposta immunitaria a infezioni batteriche è costituita da peptidi antimicrobici (AMPs) e inizia secondo i ricercatori di Wurzburg dopo sei ore dall'infezione con riduzione significativa dopo circa 72ore sia in larve che adulte . Le pupe invece, che vivono sigillate nella celletta, non hanno nessuna risposta immunitaria ai batteri.
Per tanto si può ipotizzare che la competenza immunitaria sia adattata ai differenti stadi di vita e ai relativi rischi ambientali anche per funghi e virus almeno fino a che questi rimangono in un ambito di virulenza e di presenza quanti/qualitativa relativa all'adattamento fra ospite e patogeno. Nuovi patogeni ( Nosema ceranae,Varroa/IAPV-DWV “selezionato da Varroa “[Martin 2013] ) tendono a poter prevalere con maggiore facilità sulla competenza immunitaria dell’alveare , in diversi casi sollecitata contemporaneamente da più' patogeni ( e in questo sta il problema ). Non è inverosimile infezione da ceranae su api recanti infezioni silenti da diversi virus . Infezioni multiple devono essere considerate frequenti nelle condizioni di campo odierne anche in api apparentemente sane.
L'ape adulta risponde anche alle infezioni da Nosema ceranae con produzione nei corpi grassi e dalle pareti dello stomaco ( Schwarz ; Jefferson 2013 ) di un repertorio di peptidi antimicrobici (AMPs) che risultano secondo Schwarz (2013) unica risposta a seguito infezione da Nosema ceranae. La produzione di AMPs a seguito infezione orale da ceranae e' pressoché immediata e ,nello studio, dopo 9 giorni ( un quarto della vita massima dell’ape ) ancora massicciamente presente (Schwarz 2013) evidentemente non sempre risultando risolutiva. Verosimilmente a seguito dell’infezione l’ape mantiene un tentativo di risposta immunitaria, forse dipendente dal tipo di alimentazione disponibile, fino alla morte.
Per quanto riguarda i virus la questione sembra più complessa. Secondo Jefferson i detti AMPs sono funzionali anche al contenimento delle infezioni virali per via orale .
Jefferson trova espressione di AMPs dalle pareti dello stomaco a seguito infezione da DWV per via orale mentre Azzami non trova altra risposta se non RNAi ( RNAinterferenza ) a seguito di iniezione di ABPV nella cavità toracica. Va anche considerato che l'ape può risultare infettata da virus da varie vie in rapida successione, dato che questi possono entrare nel corpo dell’ape anche attraverso piccole ferite nella cuticola .Per l'ape adulta è difficile dire se la prima in assoluto sia la via orale o la via cutanea e successivamente ,prima o poi, per iniezione da varroa. La modalità di attivazione immunitaria potrà per ciò essere relativa all'ordine in cui le infezioni avvengono . In genere la tossicità ( virulenza ) dei virus per infezione cutanea è superiore a quella per via orale . L’ iniezione da varroa è la più pericolosa in assoluto.
Come dimostrato da Nazzi e colleghi la risposta immunitaria dell’ape viene in gran parte orchestrata dal fattore di trascrizione NF-kB che provvede (insieme al gene Relish-Evans 2006 ) alla produzione dei peptidi antimicrobici AMPs.
I sistemi a valenza immunitaria che “pilotati”da NF-kB producono AMPs condividono l’uso di diversi amminoaci . In particolar modo Serina, (che risulta ben presente nella proteina di stoccaggio Vitellogenina che è il TIR che trasporta le proteine nel sangue dell’ape ) , è quantitativamente indispensabile per l’attivazione di NF-kB attraverso la fosforilazione delle proteine IkB su due residui di serina (Smahi 2012 ) e poi successivamente ampiamente impiegata nella produzione diretta di AMPs .
L’espressione immunitaria dell’ape è perciò fortemente dipendente dalle sue riserve corporee di proteine e in seconda battuta dalla possibilità di rinnovo di queste attraverso l’attività di bottinamento delle consorelle .
In conseguenza dell’incidenza di patogeni quali virus e nosema sulla capacità di lavoro delle bottinatrici (Khoury 2013 ) e della qualità del pascolo ( Di Pasquale 2013 ) , tali risorse possono venire a risultare disponibili in quantità insufficiente all’espressione di difese immunitarie efficaci e Di Prisco (2011) trova che gli alveari deboli sono molto più vulnerabili alle infezioni virali e le loro api possiedono bassa presenza di vitellogenina nel sangue . Che le difese immunitarie siano proporzionali a quel che si mangia è concetto valido anche per gli esseri umani . Molto tempo fa ai malati si praticavano salassi di sangue per estrarre dal corpo gli effluvi malvagi . Poi si è capito che era meglio non farli. Anche per le api si parla nei vecchi testi di salassi , che è forse il caso di effettuare a ragion veduta.
Dal momento che il controllo delle infezioni virali ( Nazzi e altri tanto 2012 ) trova successo quanto maggiore è “la presenza” di NK-FB ne consegue che in regime di ristrettezza di risorse sia del singolo che dell’alveare può avvenire che vi sia difficoltà di sintesi in quantità di tutti i peptidi occorrenti e maggior sensibilità ai patogeni come appunto dimostrato da Di Prisco e colleghi (2011) che,ripetendo, trova nelle famiglie deboli una minor presenza della proteina di stoccaggio vitellogenina nel sangue delle api e una parallela molto maggior sensibilità ai virus, che in queste famiglie deboli possono divenire devastanti anche in completa assenza di varroa .
Per quanto descritto da Evans pare che il Nosema ceranae, in conseguenza della riduzione di aspettativa di vita e capacità lavorativa prodotta alle bottinatrici, costringendo le api ad un regime alimentare ristretto e con ciò riducendo la produzione di vitellogenina ( e altre proteine di stoccaggio ) , diminuisca la possibilità di trascrizione di NF-kB e con ciò faciliti la replicazione del DWV la cui presenza è anche relazionata alla presenza numerica di varroa .
Da ciò si può ipotizzare che l’indebolimento prodotto dal ceranae porti alla possibile replicazione del DWV in conseguenza di carenza alimentare. Nei fatti Mac Donnel (2013 ) trova una maggior presenza del virus DWV nel cervello di api infette da Nosema ceranae .
Per converso pare anche che in api in tutti i mesi dell’anno parassitizzate da Varroa e DWV nelle quali a seguito della presenza di questi patogeni viene a verificarsi una riduzione della trascrizione di NF-kB (Nazzi 2012 ) si avrà come conseguenza anche una ridotta competenza immunitaria nei confronti del Nosema ceranae , risultando questa costituita esclusivamente dai peptidi immunitari(AMPs) Apidecina, Abecina, Imenoptecia, Defensina 1 e Defensina 2 (Schwarz 2013 ) che sono espressi in parte da NF-kB (Evans 2006 ) e in parte da Relish (Schluns 2007 ).
Si può perciò arrivare a concludere che la parassitizzazione dell’ape da Varroa e DWV è sinergica all’insorgenza del Nosema ceranae. Una maggior disponibilità di amminoacidi funzionali alla produzione di peptidi anitimicrobici AMPs oltre che alla proteina di trasporto vitellogenina (VG) al massimo della possibilità di ciascuna ape determinata dalla sua genetica e maggiore possibilità di attivazione di NK-FB consente in teoria un miglioramento nel controllo delle diverse patologie anche in casi di infezioni multi specie.
In aggiunta può essere verosimile una minor sensibilità ai virus da parte dei fuchi ( infettanti le regine per via venerea ) non che delle regine stesse la cui infezione da virus si paga un prezzo altissimo sulla salute dell’alveare deponendo queste una certa percentuale di uova infette che costituiscono l’innesco dell’esplosione di virosi nell’alveare.
La scienza ha capito quali siano gli strumenti immunitari utilizzati dall’ape e dal punto di vista biochimico come sono fatti ovvero da cosa sono composti . Siccome in chimica nulla si crea e nulla si distrugge ( Lavoisier ) bisognerà chiedersi cosa deve mangiare l’ape per produrre queste difese,ovvero dal momento che non va tutti i giorni a mangiare in trattoria da Giggi er ciociaro che cosa l’alveare le deve fornire ,ovvero cosa le devono fornire le bottinatrici.
A lavorare nell’alveare di sono grossolanamente due caste di api . Le più giovani , che fanno le nutrici dai 3 ai 10 giorni di età molto all’incirca e quelle che passati i circa dieci giorni di età vanno ad occuparsi delle produzione del miele insieme alle bottinatrici fino a quando non le sostituiranno. Queste api , sono delle vere fabbriche biochimiche specializzate dato che trasformano un prodotto in un altro.
Le nutrici partendo dal polline producono pappa .
Le più vecchie ricevono nettare e producono miele .
Le nutrici sono ovviamente le più capaci di digerire polline ed elaborarlo . Le api più vecchie riescono a farlo fino ad una certa età , poi tendono a perdere questa capacità a favore di quella di elaborazione del nettare . Questo tende ad avere un peso sulla competenza immunitaria .
Nel fare il lavoro nell’ambito del contesto sociale in cui sono inserite, devono cercare di renderlo il più funzionale possibile alle esigenze sanitarie loro e dell’alveare il che significa mettere negli alimenti che producono quello che serve per la espressione delle difese immunitarie e in aggiunta infilarvi anche sostanze che provvedano a mantenerli sterili da possibili contaminazioni da patogeni , il tutto mentre magari l’ape ( e l’alveare ) sta lottando contro qualche tipo di infezione. E’ noto che se si sente proprio male lascia perdere e va a tentare di fare la bottinatrice ( le consorelle tendono a incentivarla in questo ) , ma se rimane a fare il suo dovere può essere che l’attivazione immunitaria cui è costretta dalle infezioni non le lasci il modo di operare la migliore disinfezione e produzione di cibo di qualità.

Trasferimento degli amminoacidi alla pappa proteica
La quantità di polline che le bottinatrici riescono a portare all’alveare è a disposizione delle nutrici per essere trasformato in pappa. Lo smontaggio delle proteine del polline e il trasferimento dei vari amminoacidi precursori delle proteine della pappa prodotta pare importante per assicurare che questa abbia innanzi tutto le necessarie capacità disinfettanti e possa poi assicurare la buona competenza immunitaria alla larve nei confronti di p.a. e p.e. , calcificata, SBV e altre infezioni virali per via orale[dalla letteratura (Traver ) risulta che anche il ceranae può raggiungere la larva ) ] e alle api di età più vecchia che in conseguenza della loro specializzazione nella lavorazione del nettare ( glucidi ) non hanno più capacità di digestione del polline (Crailsheim ) e ricevono il cibo proteico dalle nutrici appunto attraverso la pappa . Per cui le api più giovani delle nutrici e quelle più vecchie traggono la possibilità di espressione delle difese immunitarie dal cibo proteico fornito loro dalle nutrici ( oltre che da riserve proteiche accumulate nel corpo ).
Le proteine della pappa sono caratterizzate come Apalbumine e sono cinque con Defensina 1 dotata di consistenti proprietà antimicrobiche e Gelleine , proteine di piccole dimensioni anche queste attive come antimicrobici. Scarselli e colleghi ( 2005 ) trovano la presenza di Apalbumina 1 e 2 nel pane d’api che risulta dunque un cibo presso che pronto all’uso .Defensina 1 risulta ampiamente presente anche nel miele oltre che nella pappa con una evidente funzione di disinfezione volta a ottimizzare l’immunità sociale . Dunque il cibo proteico dell’alveare è antisettico e contiene in sè le premesse per la produzione delle difese immunitarie .
Anche il cibo glucidico ( miele ) è antisettico e contiene sostanze utili all’attivazione del sistema immunitario ( fenoli ) e qualcuna di natura proteica utile alla competenza immunitaria ( Defensina ) .Si può quindi prevedere che una ridondanza alimentare sia la base di buone difese immunitarie dell’alveare e che vi sia scarsa competenza immunitaria in alveari con api “magre” ( Di Pasquale 2013 ) dato che le api si fanno, quanto più possibile , delle riserve nel loro corpo sotto forma di proteine di stoccaggio , vitellogenina su tutte , e il loro lavoro inteso come trasferimento di proteine alla pappa e loro propria competenza immunitaria , funziona tanto meglio quanto maggiori sono le scorte proteiche nel loro corpo. Sono queste scorte che permettono ( fin che ce ne è ) di allevare la prima covata quando l’apicoltore fa uno sciame artificiale dotato di poche bottinatrici e sono sempre queste scorte che permettono l’allevamento di covata durante l’inverno quando le ap i non hanno la possibilità di bottinare. Le scorte di vitellogenina determinano l’aspettativa di vita dell’ape (Amdam ) e le consentono una maggiore resistenza ai fitofarmaci (Seehuus 2005 ) e agli stress ossidativi (Amdam ) .Da ciò si arriva a dire che la competenza immunitaria dell’alveare deriva ed è proporzionata alla quantità di scorte di proteine di riserve nel corpo delle api. La quale deriva dalla capacità di raccolto delle bottinatrici . Per cui si ha che scarsa o nulla capacità di raccolto di polline dalle bottinatrici si trasforma presto in riduzione della competenza immunitaria delle api e dell’alveare.
Ora si è sempre sentito dire che quando vengono a meno le bottinatrici nell’alveare , ad esempio con una delle classiche tecniche di produzione di sciami illustrata nei vecchi manuali che prevede lo spostamento dell’arnia, le api più giovani sopperiscono. E’ vero, ma non senza costi per l’alveare ( dato che niente è senza costi in questo mondo ) . Queste manovre , come tutte quelle che riducono la popolazione di api dell’alveare, costringono ad utilizzare delle riserve, che possono essere più o meno consistenti o persino non esserci . Dopo di che si entra in crisi . Se supponiamo sia 100 il massimo livello possibile di proteine di riserva nell’emolinfa delle api questo produrrà una competenza immunitaria ( trascurando per semplicità di esposizione i fattori genetici ) di 100.
A seguito di situazioni o di manovre che portano all’utilizzo delle riserve portando supponiamo le riserve di proteine nel corpo delle api a 30 si avrà una competenza immunitaria di 30 ,ovvero il rischio che qualche patogeno riesca ad avere la cosiddetta prevalenza ( e ha preso questo nome proprio dal fatto che riesce a prevalere sulle difese immunitarie ) è aumentato del 200% e più.
Di nuovo ricordiamo come Il lavoro di Di Prisco e colleghi ( 2011) ben descrive come negli alveari deboli vi sia poca vitellogenina in circolo nel corpo delle api e complessivamente nell’alveare e come questi alveari deboli siano più facilmente preda dei virus e di quant’altro . La competenza immunitaria dell’alveare deriva dall’abbondanza di risorse nell’alveare e l’abbondanza deriva dalla capacità di raccolta . E’ interesse dell’apicoltore tenerne conto.

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