I feromoni dell'alveare e i loro segreti


 

Le api sono conosciute come insetti sociali e l'alveare è spesso definito un superorganismo. Alla base di questa coesione, del fatto che migliaia di operaie lavorino per uno scopo comune vi è la capacità di comunicazione veloce ed efficace tra i membri della colonia.

Questa comunicazione, in cui qualcosa di semplice (un odore) evoca concetti complessi è essenzialmente chimica. Le sostanze che le api usano a questi scopi vengono definite feromoni. Si tratta di molecole formate da un gran numero di costituenti, dal punto di vista chimico relativamente semplici.

Le api producono circa 36 tipi di feromoni , che insieme costituiscono un linguaggio chimico abbastanza intricato.

Queste sostanze sono state divise in due categorie- primarie e secondarie - a seconda del tipo della loro funzione. I feromoni della regina ( chiamati anche socio chimici ) sono primari, perchè esercitano un livello fondamentale di controllo sulle api della colonia e sulla loro produzione, sulla produzione di covata, bottinamento e altro. Possono essere stimolatori o inibitori, a seconda della funzione specifica.

La sciamatura : un fenomeno complesso regolato dal feromone mandibolare della regina

I fattori primari, nessuno indipendente dagli altri, per cui la colonia prepara la sciamatura sono:

dimensioni della famiglia

congestione del nido

distribuzione dell'età delle api

ridotta trasmissione del feromone reale che inibisce l'allevamento di celle.

L'abbondanza di risorse influenza i primi tre fattori e può esso stesso essere un fattore primario per l'allevamento di nuove regine. Anche particolari pollini ( o meglio il loro particolare contenuto proteico ) possono influenzare pesantemente la sciamatura.

Fra questi stimoli , la congestione dell'alveare e la conseguente circolazione del feromone appaiono come i più importanti.

E' stato possibile determinare ( Winston e al. ) mediante marcatura radioattiva di feromone mandibolare sintetico che nelle famiglie in sciamatura la circolazione del feromone è ridotta a causa della congestione in cui essa si trova. La quantità di feromone che raggiunge ogni singola ape è ridotta ( o nulla ). Viene perciò a mancare l'inibizione chimica che la regina normalmente esercita. La quantità di feromone mandibolare mediamente prodotta in un giorno dalle regine è stata valutata Slessor ) in 0,39 mg. Questa quantità è stata definita " regina equivalente". La quantità massima di feromone misurata in una regina è stata di 0,77 mg . Quasi due regina equivalenti. La produzione di feromone, come ben conosciuto, è dipendente dall'età della regina.

La sciamatura sarà tanto più alta quanto minore è la quantità di feromone che la regina produce e sarà tanto più probabile ( essendo costante la quantità di feromone prodotto dalla regina) quanto più la popolazione di api aumenta ( a volume dell'alveare costante).

Si notano delle profonde differenze del comportamento degli alveari inteso come tenuta della sciamatura in relazione alla quantità di feromone proprio della regina e allo sviluppo di popolazione. Le regine che per diversi motivi si trovano ad avere produzioni di feromone inferiori ad 1 regina equivalente al giorno tendono a sciamare molto presto , quando la famiglia non ha ancora raggiunto uno sviluppo di popolazione elevato.

 

Le regine con quantità di feromone giornaliera vicina a due regina equivalenti ( che purtroppo non sono molte ) riescono a sviluppare popolazioni enormi senza che queste sciamino.

Nessuna correlazione però, è stata messa in luce tra la produzione di feromone mandibolare della regina e la produzione dell'alveare

Un caso a parte è invece la sciamatura da maltempo , in cui popolazioni a volte anche ben sviluppate sono costrette a rimanere ferme nell'alveare per diversi giorni.

In questo caso è la circolazione del feromone ad essere bloccata dall'improvvisa congestione dell'alveare provocata dal maltempo. In questo caso anche un'alta produzione feromonale della regina potrebbe non essere sufficiente a bloccare la sciamatura perchè in famiglie molto grandi le api potrebbero risultare completamente immobili e con ciò sarebbe resa nulla la circolazione del feromone. Anche se l'apicoltore ha da sempre indiscutibili remore ad allargare troppo le famiglie in primavera, potrebbe essere una buona pratica in previsione di cattivo tempo per periodi prolungati disporre agli alveari un abbondante corredo di melari. Questo sempre che si preferisca vedere (eventualmente) un po' di covata morta di freddo ad un bel po' di api attaccate agli alberi.

Per questi motivi ha un senso sopportare la normale produzione aggiungendo feromone mandibolare sintetico nella formulazione BEE BOOST. In questo modo si tende a spostare la quantità di feromone mandibolare presente verso i massimi presenti in natura. Un supporto BEE Boost contiene 10 regina equivalenti. Consideriamo che in una famiglia media, inserendolo diviso in due o tre parti, rilasci 1 regina equivalente al giorno. Osserviamo che avrà una durata di 10 giorni (è il limite attuale del prodotto per questo tipo di utilizzo purtroppo ) .

Se la nostra regina ha di suo una produzione feromonale media, cioè di 1 regina equivalente al giorno, possiamo essere molto sicuri che la famiglia non sciamerà, anche in possesso di una popolazione enorme. Se invece la nostra regina dispone di una quantità minore( è il caso di regine vecchie o geneticamente poco dotate ) la famiglia potrà sciamare ugualmente, ma lo farà più tardi dopo aver raggiunto una popolazione più numerosa di quella che avrebbe raggiunto senza BEE BOOST.Così numerosa che l'insieme feromonale regina +BEE BOOST non basta a dare il controllo chimico. L'effetto di inibizione della sciamatura che BEE BOOST produce,non può essere definito assoluto, dipendendo la sciamatura anche dalla quantità di feromone che la regina secerne di suo e dalla circolazione complessiva sia del feromone proprio della regina che di quello aggiunto all'intemo dell'alveare. E' possibile aumentare il numero di supporti BEE BOOST ....

Ad esempio, inserendo due supporti divisi a metà in quattro punti dell'alveare si avrà all'interno dell'alveare una quantità di feromone superiore a 2 regina equivalenti, superiore cioé al massimo presente in natura. Con un adeguato numero di melari per mantenere accettabile la densità delle api e permettere la circolazione del feromone si può essere in questo caso molto sicuri che la famiglia non sciamerà ( finchè i supporti contengono feromone) . Rimane da verificare se questa pratica è economicamente sensata. Per fioriture pregiate, concomitanti alla sciamatura, come sono l'acacia al nord e l'arancio al sud, riuscire a mantenere le famiglie in produzione qualche giorno in più prima della sciamatura o portasse alla produzione un numero maggiore, può significare un aumento di reddito tale da giustificare l'investimento.

In aggiunta, sappiamo dall'esperienza che quando la famiglia comincia a raccogliere l'istinto alla sciamatura diminuisce. L'aggiunta di feromone mandibolare può perciò essere una buona tecnica per portare un maggior numero di famiglie sul primo raccolto e su questo mantenerle tenendo anche in conto che la presenza di feromone costituisce uno stimolo all'allevamento di covata. Come già scritto, quest'aumento risulta del 18% per i nuclei e del 6% per le famiglie da produzione. Certo a prima vista il 6% di covata in più non sembra qualcosa di enorme. Si può far osservare che il 6% di api in più sull'acacia può essere la differenza fra andare a melario e non andarci e che secondo gli studi di Farrar il 6% di api in più diventa quasi il 10 % in più per la produzione di miele. Altri vantaggi di una popolazione più grande si avranno anche sulle fioriture successive, sulle quali la differenza di popolazione (che si sviluppa in maniera esponenziale ) potrebbe diventare intorno al 15 %.. Dunque un valido aiuto, che ognuno potrà utilizzare a suo modo e misura tenendo conto che gli effetti saranno sempre fortemente dipendenti dalla qualità delle regine che si possiedono. Ma anche la possibilità di poter aiutare quelle meno dotate appare interessante dal profilo della produttività.

Gianni Savorelli