Miele e Miele per l'industria
Frodi sull'origine geografica, botanica e nella composizione del miele. In questa quarta, ed ultima parte, si parlerà delle frodi relative alle denominazione commerciale "miele"



La legge 753/82, oltre a definire in maniera univoca cosa si debba intendere per "Miele", definisce altre due tipologie di prodotto: il "miele vergine integrale" e il "mieleper l'industria" o "miele per pasticceria". Così,come per l'olio d'oliva, le confetture, il latte, esiste (o perlo meno dovrebbe esistere) anche per il miele una differenziazione basata sulla qualità che dovrebbe permettere all'acquirente di scegliere il prodotto che più si adatta alle sue esigenze o, meglio, alla sua disponibilità economica.

La gamma sarebbe quindi costituita da tre diversi livelli qualitativi:un miele di elevata qualità, quello che meglio mantiene integre le caratteristiche naturali del prodotto (miele vergine integrale), un prodotto standard (miele) e uno di seconda scelta,definito come un alimento che, pur idoneo al consumo umano,presenta una difettosità tale da non permetterne l'uso diretto come miele da tavola (miele per l'industria o per pasticceria).

Vendere un prodotto per un altro rappresenta quindi un ulteriore tipo di inganno che sarà l'oggetto di quest'ultimo articolo della serie pubblicata su Lapis e dedicata all'argomento frodi. In realtà la denominazione "miele vergine integrale"non è presente nella direttiva comunitaria, di cui la legge italiana è il recepimento.

L'opposizione della Comunità Europea a questa introduzione,considerata illecita, ha fatto si che la definizione legale italiana sia stata rimaneggiata più volte dalla sua prima emanazione,nel tentativo di renderla accettabile a livello CE, e che il decreto applicativo, che avrebbe dovuto contenere le norme tecniche di produzione e i limiti di composizione, cioè una definizione univoca del prodotto, non sia mai stato emanato, rendendo, di fatto, estremamente aleatoria la tutela del consumatore relativamente a questa denominazione.

La situazione attuale è di una legge che nomina il miele vergine integrale, ma non ne definisce alcuna caratteristica e sulla quale pende un progetto di modifica che prevede la cancellazione di questa denominazione dall'ambito della legge 753/82. Su questo argomento si è scritto moltissimo, tanto più che,oltre al problema legale, si sono aggiunte dispute e polemiche tra i fautori e gli oppositori della denominazione. In questa situazione non è più possibile distinguere tra uso lecito ed illecito della denominazione, visto che in mancanza di una definizione legale, ognuno si è data la propria,più o meno in linea con l'idea del legislatore e cioèdi un miele nazionale, non riscaldato, con termine di consumo non troppo lungo.

L'unica considerazione che si può fare è che gli unici ad avere tratto un reale vantaggio da questi quindici anni di limbo (dall'emanazione della legge ad oggi) sono stati i "furbi"che hanno potuto utilizzare una denominazione accattivante per vendere un prodotto equivalente a quello definito come "miele"dalle norme europee, mentre chi si è autoregolamentato in maniera più restrittiva o chi ha scelto di non usare la denominazione ne ha subito la scorretta concorrenza. Il "mieleper l'industria" o "miele per pasticceria" viene invece definito nella stessa maniera in tutta Europa. Si tratta di un miele che presenta segni di fermentazione, odore o sapori estranei o che si è eccessivamente modificato a seguito di riscaldamento o di conservazione prolungata; miele di seconda qualità, quindi, che non dovrebbe essere destinato all'utilizzatore che lo consuma tal quale. In effetti la legge non è del tutto chiara: l'unico obbligo, per quanto riguarda questo prodotto,è la

sua denominazione di vendita ("miele per l'industria"o "miele per pasticceria" e non solo miele), ma non si esclude esplicitamente la possibilità che il prodotto possa essere confezionato anche in vaso e proposto attraverso i comuni canali di vendita al pubblico. Sarebbe dunque possibile,perlomeno in via teorica, vedere in un supermercato vasetti da 500 o 100Og di "miele per pasticceria" a fianco delle altre referenze del settore.

In certe zone del sud, dove il grosso del consumo è legato alla preparazione invernale di dolci al miele, forse questa denominazione potrebbe addirittura assumere una connotazione positiva (fatto apposta per la pasticceria, migliore rapporto qualità prezzo in quanto specifico per un determinato uso) invece che di discriminazione, come era nell'intento iniziale. Tuttavia, per il momento, non sono a conoscenza di un uso simile della denominazione.

Gli utilizzatori industriali di miele, dal canto loro, non sempre utilizzano "miele per l'industria", per le loro preparazioni;anzi, le industrie alimentari e farmaceutiche hanno esigenze molto precise sulle materie prime e, molto spesso, richiedono una qualitàed una costanza nelle caratteristiche che il fornitore puòtrovare difficile rispettare. Ma non mancano neppure le aziende che utilizzano il miele che costa meno, cioè quello che non può essere classificato che come "miele per l'industria". Quando però la materia prima viene elencata nella lista degli ingredienti sulla confezione del prodotto finito, anche il peggiore dei mieli per industria, fermentato, cotto e con sapore sgradevole, viene miracolosamente riabilitato e compare come "miele"tout-court. Anche se l'impatto economico di questo inganno può essere stimato come molto secondario, mantenere la distinzione tra "miele" e "miele per l'industria", anche nell'informazione che viene data al consumatore di biscotti e dolciumi, sarebbe più corretto, potrebbe aggiungere valore al prodotto quando il miele utilizzato è di qualitàe contribuirebbe a far cultura sul miele. Infine è possibile che il "miele per l'industria" venga presentato al consumatore finale come "miele". Da quando la Cina è diventata uno dei nostri maggiori fornitori di miele, questa frode èdiventata estremamente comune, anche se non viene riconosciuta tale. Il miele cinese presenta sempre, infatti, segni di una pregressa fermentazione, che viene bloccata prima dell'esportazione,e con pressoché uguale frequenza un sapore metallico, cui corrispondono valori di ferro da 2 a 10 volte superiori ai valori normalmente riscontrati nel prodotto di altre origini. Tale saporepuò essere considerato come estraneo ed è dovuto al contatto con recipienti non idonei; contatto che avviene nel paese d'origine in quanto i contenitori con cui giunge in Europa appaiono corretti. Per questi due motivi il prodotto dovrebbe essere considerato, ai sensi della legge 753/82 (nonchédella direttiva europea), "miele per l'industria" ecome tale identificato sui contenitori e conseguentemente utilizzato. La legge non definisce, tuttavia, come deve essere fatto l'esame organolettico per la valutazione degli odori e sapori estranei ed è quindi in pratica molto difficile poterla applicare. Questa situazione ha gravi conseguenze per l'immagine del prodotto in quanto, nei punti vendita della grande distribuzione e nei discount,almeno un prodotto su tre è di origine cinese (o una miscela che ne contiene): il consumatore che incappi in tali prodotti ha buone probabilità di disaffezionarsi al miele per sempre,visto che l'odore e il sapore di tale prodotto sono decisamente poco gradevoli e che il ferro, che vi è contenuto, rende scure le bevande che contengono tannino (per esempio il thè).

a cura di Lucia Piana

Da LAPIS rivista di APIcoltura n°2 Febbraio 1998