Accorgimenti per migliorare le prestazioni del fornello Varrox
Gli apicoltori sono coscienti da tempo dei grossi vantaggi, ma anche di alcuni inconvenienti, legati all’utilizzo del fornello Varrox nella lotta alla varroa.
Le istruzioni della casa costruttrice raccomandano l’utilizzo dell’apposito misurino per dosare l’ossalico (fig. 1), l’inserimento dello scodellino nell’alveare e chiusura dell’apertura dell’arnia con stracci oppure con una striscia di gommapiuma (figg. 2 e 3), il collegamento ad una batteria (12 V, 12 A; fig. 4) e, una volta terminato il trattamento per ogni alveare, il raffreddamento dello scodellino in un secchio d’acqua fredda per poterlo ricaricare con la giusta dose di ossalico.


La prassi operativa consigliata risulta molto dispersiva e non sempre efficace: la durata del trattamento per ogni singolo alveare è di 2 ½ minuti, un tempo eccessivo; e spesso nello scodellino rimangono residui di ossalico non sublimato che costringono l’apicoltore a ricorrere ad una accurata pulizia del fornellino prima della successiva ricarica.
Il problema dell’eccessiva durata può essere risolto attraverso stratagemmi che permettono di fare a meno di raffreddare il fornellino in acqua. In questo modo si riduce la dispersione del calore permettendo al fornellino di giungere alla temperatura di fusione dell’ossalico (101°C) in tempi più rapidi. In altri termini la ricarica avverrebbe con fornello ancora caldo.
Per far questo è sufficiente utilizzare dei fondelli di cartucce da fucile da caccia di particolari dimensioni e opportunamente trattati. Innanzitutto bisogna bruciare la parte in plastica, o in cartone, delle cartucce. Successivamente bisogna togliere le capsule innescanti e, con martello e cacciavite, chiudere i fori che si sono venuti a creare piegando la sottile lamiera interna alla cartuccia.

(Foto 1. A sinistra due fondelli di cartuccia calibro 12 prive delle capsule innescanti. Al centro due fondelli con i fori chiusi. Sotto una “cartuccia” piena di ossalico. A destra una striscia di gommapiuma con cui chiudere le aperture degli alveari).

In tal modo il fondello metallico viene ad assumere la forma di un piccolo recipiente di determinata capacità. Se consideriamo che la densità apparente dell’acido ossalico è di 0,9 g/cm3, ne segue che un grammo di ossalico occupa il volume di 1111,1 periodico mm3. Da questo dato possiamo calcolare con soddisfacente precisione il volume dei vari calibri e la quantità di ossalico che sono in grado di contenere.
Il calibro 12, che ha un diametro interno di 20 mm e un’altezza del fondello di 8 mm, ha un volume di 2512 mm3, e contiene 2,2608 grammi di ossalico (2512/1111,1=2,2608 g).
Il calibro 16, che ha un diametro interno di 18 mm e un’altezza del fondello di 8 mm, ha un volume di 2034,72 mm3, e contiene 1,8312 grammi di ossalico.

Il calibro 16, con un’altezza del fondello di 10 mm, ha un volume di 2543,4 mm3, e contiene 2,289 grammi di ossalico. Il calibro 20, che ha un diametro interno di 17 mm e un’altezza del fondello di 8 mm, ha un volume di 1814,92 mm3, e contiene 1,6334 grammi di ossalico.
Il calibro 20, con un’altezza del fondello di 10 mm, ha un volume di 2268,65 mm3 e contiene 2,0417 grammi di ossalico. I calcoli sono stati verificati con successo grazie all’ausilio di un bilancino di precisione.
Supponiamo che un apicoltore debba curare 30 alveari. In questo caso è possibile preparare anticipatamente 30 dosi. Il fondello, pieno di ossalico, deve essere introdotto nel fornello capovolto in modo tale da favorire il diretto contatto della sostanza con lo scodellino.

(Foto 2. Le dosi preparate anticipatamente).
(Foto 3. La “cartuccia” che viene introdotta capovolta nello scodellino).

Il Varrox, inserito all’interno della prima arnia, impiegherà 2 ½ minuti circa per raggiungere la temperatura e far evaporare tutto il contenuto. Contrariamente a quanto si possa pensare, l’ossalico, fondendo, non resta intrappolato nella “cartuccia”, ma esce da sotto la “cartuccia” stessa. Inoltre, al termine dell’operazione, l’interno del fondello/cartuccia rimane sempre pulito; cioè non restano mai residui di ossalico all’interno di questa cappa metallica.

(Foto 4. L’interno della cartuccia pulito dopo l’uso).

Scaduti i 2 ½ minuti riservati al trattamento del primo alveare, si deve scollegare il Varrox dalla batteria, estrarlo dall’arnia, togliere la “cartuccia” vuota, ricaricarlo con una nuova “cartuccia” precedentemente preparata, inserirlo nell’alveare successivo e collegarlo di nuovo alla batteria. Il grande vantaggio consiste nel fatto che è possibile fare questa operazione senza raffreddare il fornello in acqua come prescrivono le istruzioni. La ricarica risulta un’operazione veloce e pratica che permette un notevole risparmio di tempo in quanto il fornello, ancora caldo, raggiunge molto prima la temperatura di fusione dell’ossalico.
Assieme al decano dell’apicoltura italiana, Franco Agostini, sono state condotte alcune sperimentazioni distinte in tre fasi successive, che ci hanno permesso di calcolare in modo approssimativo il tempo guadagnato:
1. 2 minuti e 15 sec.
2. 45-50 sec.
3. 1 minuto e 5 sec.
4. 1 minuto.
5. 50 sec.
6. 55 sec.

1. 2 minuti e 25 sec.
2. 50 sec.
3. 50-55 sec.
4. 50 sec.

1. 2 minuti e 10 secondi
2. 55 sec.
3. 1 minuto
4. 1 minuto e 15 sec.
5. 1 minuto
Altri accorgimenti per preparare le dosi consistono nell’inumidire leggermente i fondelli permettendo all’ossalico di compattarsi meglio al loro interno. La soluzione migliore sarebbe quella di riempire i fondelli con ossalico precedentemente macinato “a velo” in un macinino da caffè. Questo permette una compattazione più agevole della sostanza e, inoltre, un aumento della superficie di ossalico a contatto con lo scodellino. Bisogna altresì tener presente che l’ossalico macinato occupa un volume maggiore di quello usualmente in commercio. Il calibro 12 con altezza del fondello di 8 mm, riempito raso e leggermente pressato arriva a 2 grammi esatti.
Come abbiamo detto l’interno della “cartuccia” rimane sempre pulito e privo di qualsiasi residuo di ossalico. Alcuni residui si possono formare all’esterno della cartuccia.


(Foto 5 e 5a. Residui di ossalico sulla parte esterna della cartuccia).

Per evitare queste cattive combustioni è sufficiente coprire il fornello con un coperchietto in lamiera leggermente più grande e con il bordo alto 1 cm circa. La sua funzione è quella di creare una cappa in grado di ridurre la dispersione del calore.

(Foto 6. Il fornello viene coperto con un coperchio in lamiera).

Per questo è sufficiente adattare un coperchio di un vasetto in vetro con un foro centrale del diametro di 8 mm.

(Foto 7. Il coperchio presenta al centro un foro di uscita del diametro di circa 8 mm).

In questo modo si viene a creare un circolo d’aria unidirezionale: l’aria fredda entra nel fornello da sotto i bordi del coperchio, viene riscaldata e, salendo, esce con forza dal foro centrale come se uscisse da una ciminiera. La corrente di aria calda finisce per lambire la parte esterna della cartuccia, sciogliendone i residui e mantenendola pulita.


(Foto 8, 9, 10, 11. Sequenza fotografica che ritrae il fornellino in funzione).

L’interno del coperchio si presenta sempre pulito al termine di qualsiasi operazione. L’ossalico sublima totalmente uscendo dal foro centrale, lasciando perfettamente puliti lo scodellino e la parte esterna della cartuccia mentre i tempi di sublimazione non subiscono cambiamenti.

In sostanza, con questi accorgimenti, è possibile curare una serie di alveari senza dover raffreddare il fornello per ricaricarlo, o raffreddarlo per pulirlo, il tutto con notevole risparmio di tempo e di energia. Per concludere segnaliamo altri vantaggi derivanti da questa prassi: innanzitutto vengono limitate le bruciature e gli annerimenti dei telaini nei punti sotto i quali avviene la sublimazione dell’ossalico; poi viene limitata la formazione di “barbe di cristalli” d’ossalico sempre negli stessi punti e, infine, non si verificano casi in cui delle api cadono nello scodellino rovente.

Severino Bertini