| dalle Grazie Viaggio delle Api,  2,  vv. 1-21 [Le api alla foce dell’Arno. La speranza] Mentre nel Lilibeo mare la Fatadava promesse e le attendea cortese
 a quante all’Adria indi posaro il volo
 angiolette Febee; l’altro drappello
 che per antico amor Flora seguendo                               5
 tendea per le tirrene aure il suo corso
 trovò simile a Cerere una donna
 su la foce dell’Arno; e l’attendeva
 portando in man purpurei gigli, e frondi
 fresche d’ulivo. Avea riposo al fianco                          10
 un’etrusca colonna; a sé dinanzi
 di favi desioso un alveare.
 Molte intorno a’ suoi piè verdi le spighe
 spuntavano, e perian molte immature
 fra gli emuli papaveri; mal nota                                    15
 benchè fosse divina era l’ancella
 alle pecchie immortali. Essa agli Dei
 non tornò mai da che scendea ne’ primi
 dì noiosi dell’uomo, e il riconforta
 ma le presenti ore gl’invola; ha nome                           20
 Speranza, e men infida ama i coloni.
 […]
 
 Viaggio delle Api,  4,  vv. 22-9
 [L’architettura in Toscana]   […]  Quando poi la Spemeveleggiando su l’Arno in una nave
 l’api recò, e l’ancora là dove
 sorger poscia dovea delle bell’arti                                 25
 sovra mille colonne una gentile
 reggia alle Muse, vide correr l’api
 a un’indistinta di novelle piante
 soavità che intorno al tempio oliva.
 […]
 
 
 
 dal Quadernone (2, Vesta),  vv. 186-205, 243-8                              […] or quandola bella donna che seconda all’ara
 veggio ministra, vien recando un favo
 rimembrandomi il miele onde alle Grazie
 con perenne ronzio fanno tesoro                                 190
 l’eterne api di Vesta
 e chi ne assaggia
 parla caro a’ mortali. Indarno Imetto
 le richiama dal dì che a fior dell’onda
 Egea beate volatrici il coro                                         195
 Eliconio seguieno obbedienti
 all’elegia del fuggitivo Apollo.
 Però che quando nell’ascrea convalle
 disfrenando le tartare cavalle
 Marte afflisse ogni pianta, e le sacrate                        200
 Ossa de’ vati profanò un superbo
 nepote d’Ottomano, allor l’Italia
 fu giardino a que’ fiori, e qui lo stuolo
 fabro dell’aureo mel pose a sua prole
 il felice alvear. […]                                                     205
 
 […]La bella donna di sua mano i lattei
 calici del limone, e la pudica
 delle viole, e il timo amor dell’api                              245
 innaffia, e il fior della rugiada invoca
 dalle stelle tranquille;  e impetra i favi
 che vi consacra e in cor tacita prega.
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