Le api africanizzate arriveranno in Italia?

L'evento è senz'altro improbabile, ma da non sottovalutare per le nefaste conseguenze che ne deriverebbero per tutta la nostra apicoltura.

Per saperne di più Apitalia ha contattato cinque tra gli studiosi europei ed italiani che più ne sanno sull'argomento

 

Durante la redazione dell' articolo sulle api africanizzate apparso sul n. 8/9 di Apitalia, una domanda è più volte venuta spontanea. E' possibile che queste api possano prima o poi comparire anche da noi? Che fare per evitarlo? E nel malaugurato caso che ciò avvenisse cosa succederebbe?

Si tratta di domande la cui risposta è tutt'altro che scontata. Tanto da suggerire un contatto diretto con alcuni tra i maggiori esperti europei sul tema.

Una lezione da imparare

Le risposte ottenute sono state decisamente interessanti e sono arrivate con una sorprendete sollecitudine. Alcune sono state molto sintetiche (quasi telegrafiche); altre molto dettagliate e ricche di informazioni. Tutte comunque concordavano su un punto: non si scherza con la genetica! La vicenda della africanizzate, secondo Santi Longo, è un segno "di quali possono essere gli imprevedibili effetti di vere e proprie 'bombe biologiche' innescate dall'uomo e giustifica pienamente le complesse misure cautelative che le istituzioni di ricerca sono tenute a rispettare allorché conducono sperimentazioni su organismi viventi esotici". Uguale opinione esprime Carpana per il quale "la drammaticità di questa esperienza richiama le responsabilità che l'uomo si assume ogni volta che interviene negli ecosistemi modificandone in qualche maniera i delicati equilibri e provocando così conseguenze il più delle volte impreviste".

Arriveranno in Italia?

Anche sulla eventualità che le africanizzate possano prima o poi approdare anche da noi le opinioni degli esperti sono in gran parte coincidenti.

Van Laere ritiene tale eventualità decisamente remota, sebbene la facilità con cui è possibile viaggiare in aereo con una gabbietta con regina nel taschino della giacca (da parte di qualche irresponsabile...aggiungiamo noi) non permette di escludere completamente tale possibilità. Anche Ritter ritiene che l'unico mezzo con cui queste api potrebbero arrivare in Europa sia attraverso degli apicoltori (irresponsabili, ripetiamo per una seconda volta!). Longo ritiene l'evento "ragionevolmente remoto", ma non esclude che "qualche apicoltore, intraprendente ma sprovveduto, alla continua ricerca di nuove modalità di lotta alla varroa importi clandestinamente anche api africanizzate". Sullo stesso tono si esprime Floris per il quale "l'unica possibilità reale di ingresso in Europa è rappresentata da un'eventuale importazione". Anche se, ci tiene a sottolinearlo, non ritiene che attualmente esistano concrete possibilità che ciò possa accadere.

L'eventualità che "qualche apicoltore, magari di ritorno da un viaggio in America, si porti a casa qualche esemplare di regine africanizzate" è considerata plausibile anche da Carpana, che però - come gli altri intervistati - ritiene "abbastanza remota" tale possibilità.

Importazioni già avvenute

L'opinione che un'eventuale "sbarco" di africanizzate in Europa possa avvenire solo ed esclusivamente per importazione diretta, non sorprende. Meraviglia invece la notizia - sicuramente sconosciuta ai più - che in Europa (udite, udite!) le africanizzate (ed anche le africane) sono già state portate più volte. Van Laere, ad esempio, riferisce di una importazione (conclusasi con la morte per freddo delle famiglie) di api africane - non di africanizzate! - in Belgio tra il 1965 e il 1970. Ritter, senza specificare dove, afferma che gli risultano siano state già importate in diverse zone. Floris infine, parla chiaramente di importazioni di africanizzate avvenute senza successo (grazie a Dio, aggiungiamo noi) in Polonia nel 1970.

E’ difficile che che superino l'inverno...

Sulle effettive possibilità che queste api possano sopravvivere anche da noi, i pareri degli esperti sono comunque abbastanza discordi. Ritter, molto sinteticamente si limita a non escludere eventuali problemi nel sud Italia. Val Laere ritiene invece che "le chance di sopravvivenza in Italia siano praticamente nulle" in quanto non sarebbero in grado di resistere alla temperature invernali. Stessa opinione viene espressa da Floris per il quale" l'aspetto climatico non è favorevole ad una possibile introduzione e diffusione di queste api in Italia". Lo dimostra - a suo parare - il caso dell'Argentina dove le api africanizzate sono effettivamente riuscite a colonizzare solo i territori del nord, a clima tropicale e sub tropicale, ma non a stabilirsi nelle regioni, come quella pampeana, caratterizzate da un clima temperato. Sempre Floris aggiunge però che tale affermazione non esclude possibili situazioni intermedie, rappresentate dai diversi livelli di ibridazione (come a dire: le africanizzate non possono sopravvivere, ma non è detto che non ce la facciano api europee con solo un po' di sangue africano).

...anche se qualcuno non la pensa così

Decisamente più ottimista (si fa per dire...) sulle possibilità di ambientamento in Italia è Longo che ritiene che "le condizioni ambientali di molte regioni europee a clima mediterraneo sono sicuramente compatibili con l'insediamento delle api africanizzate le quali hanno evidenziato - in condizioni di laboratorio - insospettate capacità di svernamento". Inoltre - sempre secondo Longo - due fattori giocano indubbiamente a loro favore: la progressiva tropicalizzazione del clima che secondo alcuni è in atto nel bacino del mediterraneo e "l'effetto canyon" caratteristico dei nostri centri urbani che permette di mitigare le temperature invernali.

"Arduo è fare comunque qualsiasi previsione" è infine l'opinione espressa da Carpana che, come gli altri studiosi che sono stati intervistati sottolinea come i fattori climatici non sono gli unici coinvolti nel fenomeno. Resta il fatto che anche Carpana ritiene che "facendo un confronto con l'attuale diffusione geografica delle api africanizzate, le condizioni climatiche dell'Italia meridionale potrebbero ancora consentirne l'insediamento".

Niente allarmismi, ma più vigilanza.

Su un punto tutti - anche se con diverse sottolineature - sono però concordi. Non è il caso di fare allarmismi inopportuni. Il riferimento è evidentemente alle notie date dai "media" negli ultimi mesi (vedi, ad esempio, la "Stampa" del 1° luglio di quest'anno). Per nostra fortuna, in Italia il problema delle api africanizzate è lungi dall'essere di attualità. Anche perchè, a differenza, che negli U.S.A. da noi le africanizzate non hanno alcuna possibilità di arrivarci da sole. E francamente appare abbastanza improbabile che qualcuno che ha abbastanza cultura apistica da conoscere l'esistenza dei queste api sia poi così incosciente da sottovalutare i rischi di una loro importazione. Senza contare le pesanti conseguenze penali a cui l'importatore clandestino andrebbe incontro.

Ciò non toglie che tutti e tre gli esperti italiani siano concordi nel sollecitare un controllo più rigoroso sul commercio e trasferimento di api da un Paese all' altro.

Tale misure - a parere di Longo - non possono però essere considerate risolutive. "Al di la delle misure ordinarie o straordinarie di controllo - afferma - solo una presa di coscienza da parte degli apicoltori sui potenziali e imprevedibili rischi che la manipolazione e l'introduzione di materiale biologico comportano potrà servire a scongiurare tale potenziale pericolo".

Beh... è quanto abbiamo cercato di fare con questo articolo che, assieme a quello apparso sul numero precedente di Apitalia, ci sembra abbia illustrato con sufficiente chiarezza e oggettività i pericoli - per nostra fortuna abbastanza remoti - che riserverebbe un ingresso di api africanizzate nel nostro Paese.

Damiano Lucia


SCHEDE

...e intanto negli USA fanno affari con le maschere

Le notizie sulla diffusione che le api africanizzate stanno avendo negli USA hanno fatto nascere un nuovo business: quello delle maschere "tascabili". Tenuto conto della caratteristica di queste api di inseguire a lungo l'eventuale (anche se involontario) assalitore, una azienda americana ha messo in vendita una maschera da utilizzare se si viene assaliti da uno sciame di api africanizzate. La maschera, che piegata occupa la dimensione di un fazzoletto, richiede pochi secondi per essere indossata. Usata in modo appropriato permette una completa protezione della testa, la parte notoriamente più vulnerabile quando le api tendono a pungere.

Pubblicizzata come indispensabile accessorio per campeggiatori, appassionati di escursionismo, agricoltori ecc., pare stia avendo un notevole successo anche come dotazione delle forze di polizia, vigili del fuoco e guardie forestali che sono sempre più spesso coinvolte nel portare soccorso a persone attaccate da questi insetti.

Venduta in 6 misure differenti (ne esistono versioni anche per bambini) è frutto del lavoro di ricerca di Charles A. Malgoda, un ricercatore del dipartimento agricolo della Virginia, membro della Associazione degli apicoltori dello stato della Virginia. Viene commercializzata dalla Sting Shield, inc, P.O. box 7609, Roanoke, VA 24019 (U.S.A.) e costa poco meno di 15 dollari statunitensi.

 

 

gli esperti contattati:

- prof. Octaaf Van Laere, Belgio, Presidente della commissione permanente di Apimondia per il settore di biologia dell'ape.

- dott. Wolfgang Ritter, Germania, Presidente della commissione permanente di Apimondia per il settore della patologia apistica

- Prof.Santi Longo, professore ordinario di Entomologia agraria all'Università degli Studi di Catania e Presidente della Commissione ministeriale dell'Albo Nazionale degli Allevatori di Api Regine.

- Prof. Ignazio Floris, professore associato dell'Università di Sassari e titolare del corso di Apicoltura e Bachicoltura nei corsi di laurea in Scienze Tecnologie Agrarie di Sassari e di Scienze Forestali e Ambientali di Nuoro.

- Dott. Emanuele Carpana, ricercatore presso l'Istituto Nazionale di Apicoltura di Bologna, ha svolto studi sul miglioramento genetico delle api e sulla loro caratterizzazione biometrica.