La presenza di Metcalfa pruinosa e l'apicoltura


Renzo Barbattini Dipartimento di Biologia applicata alla Difesa delle Piante Università degli studi di Udine -Via delle Scienze, 208 -33100 Udine

Lavoro tratto da Atti dell'Accademia Italiana di Entomologia, Rendiconti , Anno XLIX-2001

Lettura tenuta durante la Giornata culturale su Metcalfa pruinosa: Flatide di interesse agrario, urbano e apistico-Firenze 8 giugno 2001

INTRODUZIONE

Metcalfa pruinosa (Say, 1830), Omottero Auchenorrinco Flatide originario dell'America settentrionale e centrale introdotto accidentalmente in Italia, è stato rinvenuto per la prima volta nei dintorni di Treviso nel 1979 (ZANGHERI e DONADINI, 1980); successivamente si è diffuso velocemente in molte regioni italiane e in alcuni stati confinanti (SILLANI et al., 1997/98; ROTUNDO et al., 1999; ALMA, com. pers., 2001; TRANFAGLIA, com. pers., 2001).
Nella Fig. I
[Fig. I Distribuzione di Metcalfa pruinosa in Italia e in paesi limitrofi, con indicazione dell'anno del primo rinvenimento nelle diverse regioni (da Sillani et al.,1997/98 mod.)]
viene rappresentata la distribuzione del fitomizo in Italia e in Paesi limitrofi e viene indicato l'anno del primo rinvenimento nelle diverse regioni. La sua rapidità di diffusione è probabilmente da mettere in relazione con la sua polifagia (può infestare numerose specie erbacee, arbustive e arboree, sia spontanee che coltivate) (DUSO e PAVAN, 1987), alla notevole mobilità degli adulti e all'assenza, sino a pochi anni fa, di entomofagi specifici (GIROLAMl e CAMPORESE, 1994; ZANDIGIACOMO e VILLANI, 1998; GIROLAMI e MAZZON, 1999; COLOMBO, 2000; SALA e FOSCHI, 2000).

Le infestazioni alle colture agricole prendono origine dai fitomizi presenti sulle piante arboree o arbustive spontanee situate al margine dei campi coltivati o dislocate lungo corsi d'acqua (CRAVEDI, 1989), strade (PANTALEONI, 1989), linee ferroviarie. La sua presenza è facilmente rilevabile dall'abbondante cera biancastra che ricopre le parti epigee delle piante. I danni causati direttamente alle piante ospiti sono limitati, mentre risultano più evidenti ed economicamente importanti i danni indiretti. Questi sono costituiti da imbrattamenti della vegetazione a causa delle notevoli quantità di melata prodotta, substrato favorevole allo sviluppo di forme micotiche (SILLANI et al., 1997/98). La melata del Flatide, però, rappresenta una sorgente alimentare per molti insetti glicifagi, quali Apoidei, Sfecidi, Vespidi, Muscidi, Sirfidi, Panorpidi; in particolare, è appetita dalle api che la raccolgono su molti vegetali (BARBATTINI et al., 1991; LUCCHI, 2000) e la trasformano in un tipico miele di colore scuro (PERSANO ODDO et al., 2000).

L'importanza apistica di questo raccolto viene accresciuta dal fatto che durante l'estate in pianura scarseggiano altre fonti mellifere, in concomitanza con la fine delle fioriture e lo sfalcio di prati polifiti normalmente visitati dalle api.

METCALFA E PRODUZIONE DI MIELE

È noto che varie osservazioni sui rapporti Metcalfa - Apicoltura sono state condotte nell'Italia Settentrionale e Centrale nonché nei Paesi confinanti, i dati e le considerazioni qui presentati derivano soprattutto da esperienze condotte in territorio friulano; è proprio in quest'area, infatti, che, sul finire degli anni '80, la melata prodotta dalla metcalfa ha cominciato a rappresentare una significativa sorgente alimentare per le api (BARBATTINI et al., 1988; SIMONETTI et al., 1989; BARBATTINI et al., 1992).

Grazie a tale risorsa zuccherina questi imenotteri sono stati finora in grado di dotarsi di abbondanti scorte invernali e di fornire agli apicoltori buone produzioni di miele. Infatti da quegli anni fino alla prima metà degli anni '90, non pochi apicoltori con alveari dislocati nella pianura friulana hanno prodotto anche oltre 40 kg di miele/alveare in meno di due mesi di raccolto (BARBATTINI et al., 1991).

L'area di diffusione del Flatide ha interessato dapprima la bassa e media pianura friulana fino al limite collinare (BARBATTINI et al., 1992), per poi estendersi al resto della pianura e alle zone pedemontane, Carso isontino compreso; tutto ciò è avvenuto, nell'arco di un decennio e con ogni probabilità la situazione di tutto il Nord-Italia è abbastanza simile.

DISPONIBILITÀ DI MELATA

Negli ultimi anni, però, in luglio, al momento della comparsa degli adulti, le popolazioni dell'insetto si sono ridotte in modo significativo limitando le infestazioni, riducendo di conseguenza la quantità di melata e del rispettivo miele e scendendo ad una produzione media di 22 kg di miele/alveare (con punte di ~ 30 kg/alveare nelle zone pedemontane orientali). Le cause di tali fluttuazioni sono imputabili a fattori biotici (es. attività di limitatori naturali quali insetti entomofagi o altri organismi), meteorologici (es. estate eccessivamente calda, piogge intense) o antropici (es. ampio utilizzo di fitofarmaci sulle colture agrarie).

Oltre al ridotto accumulo di miele di melata nei melari, si è riscontrata negli alveari una ben più grave carenza di scorte glucidiche, indispensabili all'ottimale svernamento delle colonie. Alcune osservazioni hanno messo in luce che l'emissione di melata da parte di M. pruinosa è abbondante già alla comparsa delle forme giovanili; tuttavia essa non è ancora bottinata dalle api perché queste preferiscono rivolgersi a sorgenti nettarifere quali i fiori di erba medica e quelli dei prati polifiti. L'importazione di melata negli alveari inizia la seconda settimana di luglio in concomitanza con la fine della fioritura dell'erba medica e lo sfalcio dei prati polifiti. Si può quindi ipotizzare che le api si indirizzino verso la melata di M. pruinosa solamente quando vengono a mancare consistenti fonti di nettare che sono più appetite; ciò sarebbe suffragato dal fatto che, nel rovo, a es., in presenza contemporanea sulla stessa pianta di fiori e di melata, quest'ultima passa per le bottinatrici in secondo piano. L'entità della raccolta, dopo una fase iniziale molto intensa, cala gradatamente per cessare verso fine agosto- metà di settembre (Fig. II).
[Fig. II Confronto tra il ciclo biologico di Metcalfa pruinosa , l'importazione di mellata da parte di Apis mellifera ed alcune variabili climatiche nell'estate 1991. Nella figura vengono visualizzati i momenti di sovrapposizione del melario vuoto(da Barbattini et al., 1991)]

RACCOLTA DELLA MELATA

La quantità di melata prodotta da M. pruinosa e, conseguentemente, l'entità della sua importazione da parte delle api, è condizionata da diversi fattori quali gli eventi meteorici, l'umidità e la temperatura dell'aria, la carenza idrica del suolo, il vento e l'età del fitomizo. In particolare, essa è maggiore nei giorni seguenti ad una pioggia, diminuendo con il trascorrere del tempo in relazione allo stress idrico cui la vegetazione va incontro (GREATTI e D'AGARO, 1991). Dopo un evento piovoso l'attività di raccolta delle api è frenetica, presumibilmente perché, avendo la pioggia dilavato la melata più "vecchia", viene favorita la deposizione di quella "nuova". È stata notata (BARBATTINI et al., 1991) una forte diminuzione della quantità di melata importata allorché si sono registrati aumenti della temperatura, abbassamenti dell'umidità dell'aria e presenza di vento; ciò parebbe da mettere in relazione alla quasi immediata essiccazione della melata emessa e alla conseguente difficoltà di raccolta da parte delle api.

Con la presenza contemporanea di forme giovanili e di adulti della cicalina sulla pianta, si ha un'importazione più abbondante di melata; in seguito, man mano che il numero di insetti adulti prevale sul numero di forme giovanili, l'importazione diminuisce.

Nella mattinata e nel tardo pomeriggio, si osserva una maggiore attività di raccolta da parte delle api, evitando così le ore della giornata in cui le condizioni climatiche della stagione provocano una rapida essiccazione della melata.

ADEGUAMENTO DELLE TECNICHE DI GESTIONE DEGLI APIARI

L'introduzione nel territorio regionale di questo nuovo fitomizo ha indotto nelle aree infestate significative modifiche anche nella gestione degli alveari.

a) Alveari interessati

In Friuli le produzioni abbondanti di miele di melata di metcalfa si sono verificate a partire dal 1987 (BARBATTINI, 1988; BARBATTINI et aI., 1991). Da tale anno la consistenza numerica degli alveari è gradualmente aumentata; ciò potrebbe essere indice di un accresciuto interesse da parte degli apicoltori per la conduzione degli alveari in considerazione dell'incrementato utile economico.

Da un'indagine che ha preso in considerazione gli apicoltori che raccolgono miele di melata di M. pruinosa in provincia di Udine (SILLANI et al., 1997/98)è emerso che la fonte di melata di M. pruinosa è stata sfruttata da oltre 9000 alveari riuniti in circa 600 apiari. con una media di 15 alveari per apiario. Il numero di alveari interessati a questa produzione è apparso più elevato rispetto al numero degli alveari normalmente presenti nella zona; ciò è indice di un trasferimento di numerose colonie di api da aree ove non è possibile produrre questo tipo di miele.

b) Nomadismo

La presenza di tale abbondante melata ha indotto in Friuli un "nomadismo inverso" rispetto a quello tradizionale; dalla montagna (ove sono diffusi altri apprezzati fitomizi, MASUTTI, 1983) gli alveari sono stati trasportati verso le zone di pianura altamente infestate dalla metcalfa, nelle quali è possibile ottenere grandi quantità di tale miele.

Si può parlare, poi, anche di un "contronomadismo" da parte di alcuni apicoltori con apiari di media consistenza che, proprio per non produrre questo tipo di miele ritenuto di minor pregio, allontanano gli alveari dalle zone dove si produce miele di melata di metcalfa. Ciò è spiegabile col fatto che questi apicoltori, vendendo il miele esclusivamente presso la propria abitazione direttamente al consumatore, trovano difficoltà a piazzare il prodotto (infatti i mieli scuri vengono ancora poco richiesti dai consumatori italiani) e quindi preferiscono sfruttare quelle fioriture, anche se meno produttive, che forniscono miele "chiaro", più apprezzato dai consumatori locali e meglio retribuito.

c) Produzione

La produzione complessiva di miele realizzata nella zona indagata, è stata nel 1994 di 3830 q, il 46% dei quali era costituito da miele di melata. Mentre gli apicoltori con apiari di media consistenza (11-30 alveari) hanno prodotto più miele di nettare rispetto a quello di melata, sono stati i semiprofessionisti (con 31-70 alveari) e i professionisti (con oltre 70 alveari) a produrre la maggior quantità di miele di melata.

Infatti gli apicoltori cosiddetti hobbisti hanno una scarsa conoscenza della qualità del prodotto, e quindi un certo disinteresse nel distinguere questo miele da quello, più conosciuto, ottenuto dal nettare. Si può, quindi, affermare che gli operatori semiprofessionisti e professionisti, più degli hobbisti, preferiscono "puntare" sulla produzione di miele di melata di metcalfa, che può essere raccolto in grande quantità e indirizzato direttamente alla vendita all'ingrosso. Il miele di melata di metcalfa è un prodotto relativamente "nuovo", che presenta colore e sapore diversi da quelli della maggior parte dei mieli di nettare; inoltre, a differenza di quanto accade in alcuni Paesi del Nord e del Centro Europa, come ad esempio in Germania, in Italia non c'è la tradizione di consumare neppure il miele di melata di foresta, che possiede alcune caratteristiche in comune (colore scuro, gusto maltato-caramellato poco dolce, ecc.) con quello di melata di metcalfa.

d) Altre tecniche apistiche

In seguito alla comparsa di M. pruinosa, oltre il 45% degli apicoltori interessati alla produzione del "nuovo" miele ha modificato la frequenza e il numero delle visite agli alveari; oltre alle normali visite di conduzione, sono stati maggiori, soprattutto nei mesi di agosto e di settembre, i controlli per valutare il grado di infestazione di Varroa destructor. Dal punto di vista sanitario l'aspetto che maggiormente preoccupa è il necessario slittamento dell'epoca di esecuzione dei trattamenti contro V. destructor; infatti si possono avere buone importazioni di melata sino anche a inizio settembre. Molti apicoltori operanti nelle zone ove la metcalfa è presente, hanno già apportato anche modifiche alle tecniche di lotta alla varroa adottate precedentemente, non solo ritardando l'epoca di applicazione dei chemioterapici, ma anche utilizzando mezzi biotecnici, quali il favo trappola a celle da fuco.

Altre conseguenze derivanti da intense importazioni glucidiche sono la modifica delle epoche di posa di melari vuoti e di asportazione di quelli pieni. Circa la nutrizione autunnale per compensare eventuali carenze di scorte glucidiche, numerosi apicoltori non si trovano più nella necessità di alimentare le api in questo periodo, perchè le riserve di miele sono più abbondanti.

Un ulteriore aspetto tutt'altro che trascurabile è costituito dall'invernamento degli alveari con scorte di miele di melata. È risaputo che durante l'inverno-inizio primavera alcune melate possono causare alle api sia diarree sia infezioni "condizionate" di Nosema apis (GIORDANI et al., 1982). Tali eventi patologici sopraggiungono molto raramente negli alveari invernati con questo tipo di miele. L'innocuità del miele di melata di metcalfa nei confronti delle api svernanti ha spinto diversi apicoltori, con alveari dislocati in zone di montagna, a spostare alcuni alveari in zone infestate esclusivamente per far immagazzinare miele di melata in favi da nido, per utilizzarli poi come scorte alimentari da inserire anche nelle colonie che non erano state trasferite.

TECNICHE DI RACCOLTA E LAVORAZIONE DEL MIELE

La melata di metcalfa, già al momento della raccolta sulle piante da parte delle api, si presenta molto viscosa e con un contenuto in acqua piuttosto basso che viene ulteriormente ridotto dalle api durante l'immagazzinamento (BARBATTINI et al., 1991).

L'estrazione completa dai favi mediante smelatore richiede normalmente tempi più lunghi di quelli necessari per il miele di nettare e diventa oltremodo difficoltosa se la temperatura si abbassa.

In concomitanza con la comparsa di M. pruinosa, è stato notato che oltre il 26% degli apicoltori interessati a tali produzioni ha modificato le attrezzature per l'estrazione del miele; ciò ha riguardato soprattutto l'acquisto di nuovi smelatori (dotati di motori più potenti e di maggiori dimensioni ), di maturatori (il 100% degli apicoltori hobbisti ne ha acquistato nuovi per far fronte allo stoccaggio di aumentate quantità di miele) e, nel caso di apicoltori con più di 70 alveari, anche di macchine disopercolatrici automatiche.

Relativamente alla lavorazione del miele, il 40% degli apicoltori con oltre 70 alveari ha provveduto a un contenuto riscaldamento del prodotto prima della lavorazione.

CARATTERISTICHE DEL "MIELE DI MELATA DI METCALFA"

Le caratteristiche organolettiche, microscopiche e chimico fisiche di questo tipo di miele sono state studiate fin dalla sua comparsa sul mercato (BARBATTINI et al., 1991; BARBATTINI et al., 1992; PERSANO ODDO et al., 1991).

Recentemente, nell'ambito del Progetto Finalizzato AMA (Ape, Miele, Ambiente) finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, sono state pubblicate le nuove schede di caratterizzazione dei mieli uniflorali italiani (PERSANO ODDO et al., 2000). In tale pubblicazione viene riportata, in aggiunta, anche la scheda relativa al miele di melata di M. pruinosa, in quanto la produzione è importante in tutte le regioni che si affacciano sulla pianura padana e si estende fino a Lazio e Abruzzo.

Un'indicazione che balza subito agli occhi sta nel nome assegnato a questo tipico miele; infatti, a differenza di altri mieli di melata (ad esempio quello di abete), non viene indicata la pianta su cui la melata è bottinata dalle api ma viene citato l'insetto che produce la materia prima.

Ciò è connesso con la polifagia del fitomizo in quanto rimane arduo definire in modo univoco un miele a composizione variabile; i componenti della melata, infatti, sono strettamente dipendenti dalla specie botanica su cui le popolazioni dell'insetto si sono prevalentemente nutrite; sarebbe certamente più corretto parlare di miele di melata di M. pruinosa su acacia, su acero, ecc. (LUCCHI, 1996).

Come la gran parte dei mieli di melata, anche quello derivante dalla melata di M. pruinosa è di colore scuro (dall'ambra fino quasi al nero), dotato di un debole potere dolcificante, di sapore forte e a lungo persistente sul palato. Dagli studi compiuti è emerso che i parametri ritenuti idonei per giungere alla definizione di un miele di melata hanno fornito dati rispondenti.

Ci si riferisce all'analisi sensoriale, ai valori elevati di conducibilità elettrica (valore medio 1,74 mS cm- 1) di colore (valore medio 102,4 mm Pfund) e di pH (valore medio 5,1), allo spettro zuccherino composto complessivamente da un basso contenuto in monosaccaridi (fruttosio e glucosio) e da un'elevata presenza di disaccaridi e di trisaccaridi. In generale, questa distribuzione di parametri è tipica dei mieti di melata, differenziandoli da quelli dei mieli di nettare (BARBATTINI et al., 1988).

Mentre il melezitosio, che si riscontra nel miele di melata di abete in percentuale non trascurabile, è risultato presente solo in tracce, è stata rilevata la costante presenza di discrete percentuali del trisaccaride maltotriosio. Si ritiene che esso sia il prodotto di reazioni enzimatiche, operate da enzimi elaborati dagli insetti produttori di melata, come transglucosidazioni, che avvengono a partire dal saccarosio presente nella linfa (SABATINI e SPINA, 1972; CRANE, 1975; MARLETTO e FERRAZZI, 1985).

Poichè l'azione di questi enzimi può essere diversa nei differenti insetti produttori di melata, è parso interessante effettuare anche l'analisi della melata prodotta da M. pruinosa. In controlli realizzati su campioni di melata, raccolti su foglie di platano, il melezitosio è risultato presente appena in tracce quantitativamente non valutabili, mentre si è rilevato un contenuto non trascurabile di maltotriosio e di erlosio.

Esaminando i dati fisico-chimici ottenuti, in relazione ai limiti di variabilità definiti per i principali tipi di miele uniflorali italiani (ACCORTI et al., 1986; PERSANO ODDO et al., 1986; PERSANO ODDO et al., 1988; SABATINI et al., 1989; SABATINI et al., 1990; PERSANO ODDO, 2000), si può rilevare che alcuni parametri si sono collocati al di fuori dei valori medi e possono pertanto ritenersi elementi dì caratterizzazione del prodotto in esame.

È il caso dell'elevato contenuto in diastasi (valore medio 34,2 scala Shade), come nel miele di timo e di eucalipto e dell'acidità (valore medio 41,3 meq/Kg), anch'essa molto elevata e suscettibile di superare il limite di legge, come nel miele di timo, di erica, di corbezzolo.

Anche l'analisi melissopalinologica ha fornito risultati rispondenti a quelli dei mieli di melata; in particolare il rapporto indicatori di melata/granuli pollinici risulta superiore a 3 e si rileva una prevalenza di pollini appartenenti a specie anemofile.

All'inizio degli anni '90 il miele di melata di metcatfa è stato messo in discussione dagli importatori tedeschi poiché dava una reazione positiva per le destrine. La presenza di destrine costituisce di norma un indice di adulterazione del miele con idrolizzati d'amido.

Tuttavia, da indagini di laboratorio (utilizzando il saggio di Fiehe e la cromatografia liquida ad alta pressione-H- PLC) (Fig. III)

[ FIG III Cromatogramma di un miele di Metcalfa pruinosa( da Fiori et al., 2000)]
effettuate sia su campioni di miele di melata sia su campioni di melata emessa dal Flatide (raccolti su differenti specie vegetali: frassino, acero, sanguinella, rovo, platano e ailanto) (Fig. IV)

[ FIG IV Cromatogramma di melata prodotta su Acer campestreL.( da Fiori et al., 2000)]
si è sempre ottenuta una reazione positiva per le destrine. Ciò ha confermato l'ipotesi che le destrine possono essere un componente naturale di questo miele e che la loro presenza non costituisce un indizio di adulterazione ma, al contrario, una peculiarità naturale.

Infine, poiché si è rilevata una differente composizione destrinica tra campioni di melata prodotta su piante di specie diversa, si può supporre che alcune caratteristiche, quali lo stato fisico, spesso non uniformi nell'ambito dei mieli di melata di metcalfa, siano dovute alla diversa composizione in destrine della materia prima (VORWOHL, 1994; HELD et al., 1998; FIORI et al., 2000).


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Concludendo, si può affermare che in questi ultimi 15 anni le produzioni apistiche hanno avuto un notevole incremento grazie alle infestazioni da Metcalfa pruinosa. A questo proposito si possono fare alcune considerazioni sull'impatto della comparsa del miele di melata sull'equilibrio economico delle imprese apistiche.

Dall'indagine citata (SILLANI et al., 1997/98) è emerso che questo miele non è più un'eccedenza, ma un prodotto che ha trovato il suo sbocco commerciale, dando origine ad un flusso di esportazione principalmente verso il mercato tedesco. Infatti (Fig. V)
[ FIG V Canali distributivi di Metcalfa pruinosa,1994(q9L.( da Sillani et al., 1997/98)]
oltre il 60% della produzione totale di miele di melata di metcalfa è stato venduto all'estero dagli apicoltori grossisti; per contro soltanto il 6% degli altri tipi di miele raggiunge i mercati stranieri.

Per quanto riguarda i prezzi del miele di melata, nel caso del miele confezionato sono stati più bassi di quelli del miele di nettare, ma comunque più che doppi rispetto ai prezzi del miele di melata sfuso, pagato circa 2000/kg. Infine è da sottolineare come M. pruinosa sia considerata dagli operatori in due modi diversi: positivamente dagli apicoltori che traggono un significativo vantaggio produttivo dalla melata emessa e negativamente dagli agricoltori che sono orientati ad una lotta efficace contro questo fitofago.












Bibliografia
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Dal numero 6-2002 di APITALIA