Fiuggi – 1 luglio 2001

Livia Persano Oddo

Ministero delle Politiche Agricole e Forestali

Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Sezione di Apicoltura, ROMA

STRATEGIE DI VALORIZZAZIONE DEL MIELE


Nei paesi europei, dove il consumo di miele è molto diffuso, si possono trovare in commercio molti tipi di miele di origine, qualità e prezzo molto diversi. Per tutelare i produttori nei confronti degli "industriali" del miele, che immettono sul mercato prodotti più scadenti, e allo stesso tempo per tutelare il consumatore e consentirgli di riconoscere i prodotti migliori, si sono andate sviluppando delle strategie di valorizzazione.

Si tratta di differenziare tipologie di mieli che possiedono qualche fattore di specificità in virtù del quale possono essere commercializzate in una fascia di mercato in qualche modo specializzata e più remunerativa.

È necessario quindi in primo luogo definire con precisione le caratteristiche identificative di tali prodotti, quindi fare si che il consumatore possa riconoscerle attraverso idonee denominazioni e infine mettere a punto strumenti di controllo che consentano di rilevare e quantificare in modo oggettivo gli elementi di specificità.

Se il processo di valorizzazione è condotto correttamente, l’esigenza dell’apicoltore di remunerare adeguatamente i maggiori costi di produzione si incontra con quella del consumatore informato di individuare prodotti diversificati e garantiti.

I principali elementi di differenziazione possono basarsi sulla qualità (caratteristiche qualitative più rigorose rispetto a quelle basilari prescritte dalle norme), sul sistema di produzione (miele da apicoltura biologica), sull'origine botanica (mieli uniflorali) o geografica (marchi territoriali, mieli "IGP" o "DOP"); altre piccole quote di segmentazione del mercato possono rigurdare la sfera etica e sociale (commercio equo e solidale, rispetto dei diritti umani) o l’impegno ambientale dell’azienda.

Queste iniziative di valorizzazione sono molto utili sul piano della commercializzazione, ma è necessario individuare dei validi strumenti di controllo, per evitare che esse siano impiegate in modo scorretto e fraudolento.

Inoltre è importante sottolineare che le caratteristiche del miele derivanti da una particolare origine non vanno mai valutate alla stregua di parametri qualitativi. Non è corretto pensare che un miele di acacia sia "migliore" di un millefiori, anche se può avere un valore commerciale maggiore: tanto il miele di acacia che quello millefiori possono essere di buona o di cattiva qualità.

1. La qualità

Il concetto di qualità è solo apparentemente chiaro e univoco, in realtà è fortemente ambiguo e soprattutto è inscindibilmente legato al contesto culturale in cui si colloca. I nostri parametri di riferimento nel giudicare un alimento come "buono" o "cattivo" sono così connaturati nella nostra cultura da farceli sembrare ovvi e obiettivi, ma ci basta allontanarci un po' dal nostro ambiente per vedere quanto diversi o addirittura opposti possano essere i criteri di valutazione.

In realtà per un alimento i soli criteri obiettivi di qualità, che rimangono validi in tutti i paesi e per tutte le categorie di consumatori, sono essenzialmente due:

Per ogni altra proprietà si entra nel campo del soggettivo e dell'opinabile: prima di parlare di qualità è quindi necessario precisare il contesto in cui ci muoviamo.

La qualità ‘legale’.

Le normative fino a questo momento in vigore sul miele sono rappresentate dalla Norma Regionale Europea del Codex Alimentarius, emessa nel 1969, e dalle altre norme che da essa discendono: direttiva comunitaria, del 1972, e norme italiane di recepimento, la legge 753/82 e il Decreto del Ministero della Sanità del 1984 sui metodi di analisi. Il quadro normativo è attualmente in via di totale riorganizzazione. Sia a livello Codex Alimentarius che di direttiva europea sono in corso di elaborazione nuove norme, che condizioneranno anche la normativa italiana.

Riferendoci a questo rinnovato quadro normativo i criteri di composizione e qualità riguardano i seguenti parametri: contenuto in acqua, contenuto in fruttosio + glucosio, contenuto in saccarosio, contenuto in sostanze insolubili, conducibilità elettrica, acidità libera, attività diastasica e contenuto in HMF. Oltre ad essi compaiono alcune indicazioni base, presenti anche nelle precedenti norme, relative all’assenza di materiali, odori e sapori estranei, assenza di processi fermentativi e di trattamenti termici tali da inattivare gli enzimi.

La qualità ‘europea’

Per gli europei il concetto di qualità, soprattutto per un alimento naturale come il miele, è fortemente legato alla genuinità e all'integrità del prodotto. Il miele migliore è quello appena uscito dai favi, e quindi in generale qualunque intervento che lo modifichi, allontanandolo dalla sua condizione originaria, è visto come un peggioramento. I criteri fondamentali su cui si basa il concetto di qualità in Europa sono tre: pulizia, freschezza e conservabilità. È su questi che deve dunque fondarsi un processo di valorizzazione basato sulla qualità.

Il concetto di pulizia coinvolge un po' tutto il modus operandi dell'apicoltore, il suo atteggiamento di base e la consapevolezza di trattare un prodotto alimentare che, in quanto tale, richiede un'estrema attenzione perché nessun tipo di contaminazione ne comprometta l'igiene. Questa attenzione non deve limitarsi alle fasi di lavorazione nel laboratorio, ma deve riguardare tutto il percorso produttivo, a partire dalla scelta della postazione.

I fattori che influiscono sullo stato di freschezza del miele sono essenzialmente due: il tempo e la temperatura. Sottoponendo il miele ad elevata temperatura si manifestano, in tempi rapidi, gli stessi effetti di una conservazione prolungata: un’alterazione più o meno marcata delle caratteristiche organolettiche (perdita delle sostanze aromatiche volatili, colore scuro, odore e sapore di cotto, caramellato, gusto amarognolo), e della composizione (modificazione degli zuccheri, aumento dell'HMF, inattivazione degli enzimi). Nella produzione del miele di qualità occorre controllare la temperatura ambiente dei locali di lavorazione e conservazione del miele, mantenendola possibilmente al di sotto dei 20°C. Riguardo ai trattamenti termici necessari alla lavorazione e invasettamento, essi devono essere limitati al tempo strettamente indispensabile e non devono mai superare i 40°C.

Il miele deve avere una conservabilità relativamente lunga, almeno per il tempo che intercorre fra una stagione produttiva e l’altra (un anno). Ciò è possibile se il contenuto in acqua è sufficientemente basso da non consentire lo sviluppo dei lieviti che, in una certa misura, sono sempre presenti nel miele (la maggiore fonte è costituita dai residui di miele rimasti nei melari immagazzinati, che invecchiano e fermentano). Se invece il contenuto di acqua è più elevato il miele va incontro a quello che può considerarsi uno dei più gravi inconvenienti, la fermentazione. Il limite di umidità che garantisce il miele dalla fermentazione è 17%, ma se il numero di lieviti presenti nel miele non è eccessivamente elevato, il 18% rappresenta una garanzia sufficiente.

Al momento attuale gli strumenti normativi di riferimento per una segmentazione del mercato del miele su parametri qualitativi sono il regolamento (CEE) 2082/92 sulle attestazioni di specificità (Specialità Tradizionale Garantita - STG) e le norme volontarie sulla certificazione di qualità (UNI EN ISO, della serie 9000). Sono sistemi che hanno come primo obiettivo la trasparenza nei confronti del consumatore, nel senso che l’impegno che il produttore si assume nei confronti del consumatore deve essere mantenuto e verificato attraverso percorsi produttivi precisi, codificati e sottoposti a controllo.

2. Il miele da apicoltura biologica

Nell’opinione pubblica è in continua crescita, l’attenzione verso i rischi legati all’inquinamento dell’ambiente e dei prodotti alimentari. Questo determina da parte dei consumatori una crescente richiesta di prodotti più sicuri e crea quindi nuove opportunità di mercato, nuove nicchie che attirano l’interesse di un crescente numero di produttori. Va sottolineato che operare in biologico non significa solamente applicare più o meno correttamente l’una o l’altra regola, ma piuttosto entrare in una ‘filosofia’, in un atteggiamento globale di attenzione e rispetto nei confronti dell’ambiente.

Per regolamentare le produzioni animali (fra cui rientra il miele) provenienti da allevamenti ‘biologici’ la comunità europea ha emanato, nell’agosto 1999, il regolamento CE 1804/99 sulla zootecnia biologica. Un anno dopo il MIPAF ha emanato un decreto applicativo (già in revisione). La normazione attribuisce alle produzioni biologiche quel valore aggiunto che ricompensa il maggiore impegno che tali produzioni richiedono.

I meccanismi di tutela del consumatore sono analoghi a quelli previsti dagli altri regolamenti europei: la garanzia del rispetto delle regole sottoscritte è attuata attraverso il sistema dell’organismo certificatore operante secondo le norme EN 45000 (UNI CEI EN 45011), e il consumatore può riconoscere il prodotto "da agricoltura biologica" attraverso il logo comunitario.

3. Denominazioni di origine botanica. I mieli uniflorali

I mieli uniflorali sono quelli che derivano principalmente da un sola specie botanica. In Europa i mieli uniflorali vengono normalmente considerati una tipologia in qualche modo "privilegiata", ma questa maggiore considerazione non è in realtà legata ad un loro valore intrinsecamente superiore, o almeno non lo è sempre. Certamente alcuni tipi di miele uniflorale sono particolarmente apprezzati e ricercati sul mercato, ma altrettanto possono esserlo alcuni tipi di millefiori. D’altra parte ci sono invece dei mieli uniflorali che presentano, sotto il profilo qualitativo e della commercializzazione, degli aspetti negativi o comunque non graditi alla maggior parte dei consumatori, legati proprio alla loro particolare origine: ad esempio un gusto o un aroma non troppo gradevoli, una tendenza a cristallizzare irregolarmente, a presentare elevata umidità, etc.

Il vantaggio offerto dai mieli uniflorali risiede essenzialmente nella possibilità di immettere sul mercato una gamma di prodotti differenziati e tipizzati con caratteristiche costanti e riconoscibili, in grado di stimolare la curiosità del consumatore più attento o di soddisfarne il gusto in modo particolare.

Questo tipo di denominazione è ormai ben affermata sul mercato, ma non è sufficientemente garantita sotto il profilo normativo. Infatti, a parte la generica indicazione della legge 753/82, non sono attualmente previsti sistemi di certificazione codificati e sottoposti a controllo.

Esistono tuttavia le premesse scientifiche per mettere a punto adeguati strumenti di controllo: in Italia è stato svolto un complesso lavoro di ricerca che ha portato a individuare i parametri analitici utili per la diagnosi dell'origine botanica del miele, relativi alle caratteristiche chimiche, fisiche, organolettiche e microscopiche. Sulla base di questo lavoro sono state compilate le schede di caratterizzazione di 18 tipi di mieli uniflorali prodotti in Italia.

4. Denominazioni di origine geografica

Anche il ricorso a una denominazione geografica è un buon mezzo di valorizzazione, in quanto la zona di produzione può influire positivamente sul valore commerciale del miele, per caratteristiche reali del prodotto, o per un immagine attraente che il luogo è in grado di evocare. Di fatto, il miele è un prodotto strettamente legato al territorio, e le sue caratteristiche derivano direttamente dalla specifica flora in esso presente.

La legge sul miele consente l’uso di un’indicazione territoriale volontaria e individuale, e il singolo produttore ha quindi la facoltà di indicare in etichetta la provenienza del suo miele. Si tratta però di uno strumento debole e poco garantito. Con l’entrata in vigore del regolamento (CEE) 2081/92 sulla protezione delle denominazioni di origine (DOP)e delle indicazioni geografiche (IGP) per i prodotti agricoli, sono stati uniformati a livello europeo i criteri e i meccanismi di tutela dei prodotti le cui caratteristiche siano dovute all'ambiente geografico. La procedura per accedere a queste denominazioni è piuttosto complessa e lunga e richiede un notevole livello di impegno e di investimento. Esse offrono però una opportunità molto migliore in termini di promozione del prodotto e garanzia per il consumatore.

Requisito fondamentale per l’applicazione di tali denominazioni geografiche è la presenza di caratteristiche riconoscibili peculiari dell’origine e queste, per il miele, devono essere individuate attraverso uno studio di caratterizzazione, in gran parte basato sull'analisi melissopalinologica. Lo spettro pollinico rispecchia infatti fedelmente la composizione floristica della zona di produzione.