Torquato Tasso

 da  Mondocreato  V giorno vv. 874 – 962
 

               Comuni han l’api la cittate, e i tetti
875          di molle cera e l’odorate celle;
               comune il volo e la fatica, e l’opre
               di mirabil lavoro,  e i conti  paschi;
               e comune hanno ancor la prole e i figli,
               che non son nati in doloroso parto
880          d’amor lascivo,il qual congiunge e mesce
               l’affaticate insieme immonde membra,
               ma con la bocca fuor succhiati e scelti 
               da gli odorati e rugiadosi fiori.
               Poi tutte insieme in bella schiera accolte
885          sotto unordine solo, un solo impero
               seguon d’un re, ch’è venerato a prova.
               E non sostiene alcuna uscire a’ prati,
               d’erbe vestiti e di bei fior dipinti,
               se prima il re non incomincia il volo.
890          E non èquesto re per caso eletto,
               o per fortuna, che sovente inalza
               a somma podestà l’indegno e ’l vile;
               né per giudicio de l’errante volgo,
               né come erede de l’antico regno
895          de gli aviantichi nel superbo soglio
               s’asside, gonfio del paterno fasto,
               e ‘ntenerito da lusinghe e vezzi,
               ne l’arti peregrine incolto e rozzo.
               Ma per natura il nobil regno acquista,
900          e da naturaha le reali insegne
               d’oro lucenti, onde s’adorna e splende;
               e gli altri di grandezza e di figura
               e di costumi mansueti avanza.
               E’ ben d’aculeo il re pungente armato,
905          ma l’aculeonon usa in far vendetta:
               perché son leggi, non in breve carta,
               od in aride foglie o ‘n frale scorza,
               o ‘n durissima pietra impresse e scritte;
               ma da natura entro le menti infisse,
910          ch’ove èpiù di possanza e di valore,
               più vi sia di clemenza e di pietate.
               Ma qualunque de l’api il re non segue
               o pur si mostra in obedir ritrosa,
               del temerario ardir tosto si pente
915          o di suatracotanza, e sente il colpo
               del propio aculeo, ond’è trafitta e more:
               fiero castigo in se medesmo ed aspro,
               che già soleano usar gli antichi Persi,
               dando a se stessi volontaria morte.
920          Niun barbarore di Persi o d’Indi,
               o di Sarmati pur, o novo o prisco,
               con tanta riverenza al regio scettro
               vide inchinarsi i popoli devoti,
               quanti ne vede nel minuto stuolo
925          il fortunatore de l’api industri,
               che l’arme, onde natura il fece adorno,
               non opra ne’soggetti e ne gli umili.
               Odan di Cristo i servi, a’ quali è imposto
               che non si renda mai per male il male,
930          ma che nelbene il mal s’avanzi e vinca.
               Odan de l’api caste il santo esempio,
               né d’imitarlo alcun si prenda a sdegno:
               ch’ella nel procurarsi il proprio vitto
               non guasta l’altrui cibo e nol corrompe,
935          ma di cerasi finge i dolci alberghi,
               la qual da vari fiori accoglie e mesce.
               E pur di fiori l’ingegnosa, e d’erbe
              d’ogn’intorno spiranti il vario odore,
               loca  a la sua capace angusta reggia
940          i primi fondamenti,e sovra asperge
              d’umor celeste rugiadose stille,
               liquido prima, e poi tenace e denso.
               E con cera sottil divide e parte 
               minutissime celle, a cui di sovra 
945          la sommaparte, ch’è pendente e cava,
               fa testudini  e volte; e l’una a l’altra
               s’appressa in guisa tal ch’aggiunte e scevre
               la vicinanza lor ristringe e lega
               più forte insieme la tenace mole,
950          e fa nonruinoso a lei sostegno:
               sì che può sostenere il dolce peso,
               e ritener che giù non caggia il mele.
               E ben si mostra l’ingegnosa pecchia
             architetto ne l’opra e nel lavoro
955          maraviglioso,e saggia, e dotta a pieno 
               di quanto il geometra insegna e trova.
               Perché formò le celle in giusto spazio
               con sei angoli tutte e fianchi eguali,
               e non per dritto l’uno a l’altro appoggia,
960          ma quelleinfime sedi in guisa adatta
               a le sovrane sue concave parti,
               che nulla ne patisce il sommo e l’imo.