I pericoli dell'ibridazione tra razze di api: il caso delle api africanizzate

 

15 dicembre 1998: A San Bernardino, in California, la TV locale dà notizia di un attacco di api. Un giardiniere riceve novanta punture e una donna con i suoi due bambini alcune decine ciascuno. I Vigili del Fuoco, giunti sul luogo con una squadra speciale specializzata in questo tipo di interventi, dopo avere chiuso temporaneamente al traffico la zona, provvedono a eliminare lo sciame. Dalle prime analisi effettuate dal San Bernardino Vector Control su campioni di questi insetti, si tratterebbe di api africanizzate.

17 febbraio 1999: Un attacco delle cosiddette "api assassine" semina il panico in una scuola elementare messicana, nei dintorni di Acapulco. Lo sciame, apparso improvvisamente, punge una trentina tra bambini e maestri. Dieci alunni e due insegnanti vengono ricoverati in ospedale. Le loro condizioni di salute non destano preoccupazioni.

8 aprile 1999: La città di Los Angeles, in California, viene ufficialmente riconosciuta come colonizzata dalle cosiddette api assassine (killer bees). Le prove condotte mediante l'esame del DNA delle api catturate in zona, dimostrano inequivocabilmente che si tratta di api africanizzate. Le autorità diramano un appello alla popolazione in cui viene indicato di evitare assolutamente di tentare da soli di allontanare o eliminare gli sciami. Viene predisposto un numero telefonico di pronto intervento per segnalare la presenza di api e chiedere l'arrivo di squadre specializzate.

Sono solo tre notizie, scelte a caso, tra le molte che in questi mesi sono apparse sulla stampa statunitense. La protagonista è sempre la stessa: l'ape africanizzata. Certo si tratta di un problema che - almeno per ora - è ben lontano da interessare la nostra apicoltura, ma visto il susseguirsi (anche su numerosi giornali italiani!) di notizie riguardanti queste api, abbiamo pensato fosse doveroso dedicare uno spazio al tema. Anche perché (e questo, sia chiaro, è essenzialmente una opinione dello scrivente) non è affatto detto che problemi di questo tipo non possano capitare anche da noi. Ma di questo avremo modo di parlarne in una seconda puntata.

L'africanizzata...da dove viene?

Anzitutto va chiarito che la "colpa" della nascita di queste api è solo e unicamente nostra. Dove per "nostra" si intende dell'uomo. Tutto ha infatti origine da un tentativo fatto nel 1956 quando il governo brasiliano autorizzò l'importazione di api regine della specie Apis mellifera scutellata, originarie delle zone a savana del sud-est dell'Africa. Lo scopo era di ottenere, attraverso l'incrocio, un ibrido che assommasse le qualità positive delle razze europee a quelle della razza africana. La fuga accidentale di 26 sciami di api africane determinò invece la nascita nella selva brasiliana di una popolazione di api selvatiche ibride in cui a prevalere erano evidentemente le caratteristiche negative delle due popolazioni.

Qualcuno dei lettori meno giovani della rivista ricorderà a questo punto un famoso sketch di Paolo Panelli e Raimondo Vianello in cui i due comici si cimentavano come ibridatori di frutta. Intenzionati a inventare la "zuccocca" (una zucca che sapeva di albicocca), non riuscivano invece altro che a produrre "cocchezucche" (cioè albicocche dal sapore di zucca). Solo che con le api il risultato non ha fatto ridere nessuno!

Dal Brasile agli U.S.A.

Ben presto infatti questi ibridi si sono meritati il soprannome di killer bees (api assassine) per la loro aggressività verso gli alveari di api europee che venivano aggrediti e soppressi con estrema facilità. Anche gli animali domestici e gli uomini hanno dovuto pagare un alto prezzo per questa mal riuscita operazione di miglioramento genetico. Perfettamente adattate al clima caldo del Brasile, le api africanizzate, in poco più di 40 anni, si sono infatti diffuse in tutto il sud e centro America e, recentemente, hanno iniziato a espandersi nel sud degli Stati Uniti.

In Messico, dal settembre 1986 al settembre 1991 sono stati segnalati almeno 1.000 attacchi a persone che hanno causato 58 decessi. In totale, nel solo Sud America, le vittime stimate dovrebbero aggirarsi su alcune centinaia. Di sicuro, negli U.S.A, ci sono stati sinora 5 attacchi mortali, due in Texas e tre in Arizona. In tutti i casi si è trattato di persone in cui l'età avanzata (in tre casi sono stati coinvolti ultraottantenni) non ha permesso loro di sfuggire velocemente all'attacco delle api, rifugiandosi in casa o in auto.

Aggressive e veloci

In ogni caso i decessi non sono da attribuire a fenomeni allergici. L'ape africanizzata possiede un veleno con caratteristiche di tossicità identiche a quelle delle api europee e ne immette la stessa quantità. Ciò che fa la differenza è il numero di punture che una famiglia è in grado di provocare. Secondo Elizabeth L. Sears (Behavior Characteristics of the Africanized Bees, http://insect-word.com/main/afr-bees.html) il numero delle guardiane nelle africanizzate è infatti cinque volte maggiore che nelle api europee e in caso di attacco circa la metà della popolazione dell'alveare si riversa all'esterno contro l'aggressore (vero o presunto). Studi compiuti da ricercatori statunitensi hanno dimostrato una risposta all'emissione del feromone di allarme da parte di queste famiglie di soli 0,3 secondi dal rilascio, contro la media di 9 secondi registrata per le api europee. Inoltre le africanizzate, una volta disturbate, continuano a inseguire l'aggressore fino a un chilometro di distanza e rimangono in stato di allerta per un lungo periodo (anche alcuni giorni), aggredendo chiunque si avvicina all'alveare.

Psicosi da film

Tra i ricercatori sono comunque in molti a sostenere che sulla effettiva pericolosità delle api africanizzate sono state scritte molte esagerazioni. A creare una vera e propria psicosi sulle api assassine, più che i dati scientifici hanno infatti contribuito i servizi giornalistici (spesso decisamente approssimati) apparsi negli ultimi anni e soprattutto la diffusione di pellicole del genere "catastrofico", come il film "Bees, lo sciame che uccide" realizzato dal regista Bruce Geller.

Secondo James E.Tew (Ohio University) e Anita M. Collins (Honey bees Reseach Laboratory, USDA, Texas), si è fatto troppo allarmismo sulle africanizzate e non si tiene conto che, statistiche alla mano, il rischio di essere coinvolti in un in incidente d'auto a Los Angeles è oggi molto più frequente di quello di venire punti da uno sciame. Solo che ai morti e feriti sulle strade ci abbiamo fatto ormai fatto l'abitudine!

Selezionate in base alla docilità

Attualmente poi, grazie al lavoro di selezione svolto dagli apicoltori sud americani in questi ultimi 40 anni, le api africanizzate sono decisamente più "trattabili" di un tempo. Anche dal punto di vista strettamente produttivo la situazione è progressivamente migliorata. Dall'ape africana (A. mellifera scutellata) le prime generazioni di africanizzate ereditarono infatti una forte tendenza a sciamare (10 sciami l'anno erano la regola). Inoltre, pur essendo ottime bottinatrici, utilizzavano quasi tutte le scorte a vantaggio della sola covata, senza accumulare miele nei melari. Ciò provocò una forte diminuzione nei raccolti. Tanto che in Venezuela, agli inizi degli anni '80, la produzione di miele crollò dell'86% rispetto a solo quattro anni prima. E gran parte degli apicoltori abbandonarono e distrussero i loro alveari.

Oggi non è più così. Soprattutto in Brasile, dove l'africanizzata è presente da più tempo e dove gli apicoltori hanno imparato a lavorare molto bene con queste api. Una accurata selezione verso le famiglie più docili (sempre però in senso relativo), l'uso di adeguate protezioni e un più corretto utilizzo del fumo hanno riportato l'apicoltura brasiliana su ottimi livelli. Al punto che la produzione di miele brasiliano è cresciuta di una media del 4,5% annuo dall'85 ad oggi.

Forti, laboriose ed esenti da malattie

Secondo Paulo Gustavo Summer - il presidente di una delle più importanti associazioni apistiche brasiliane - ciò è dovuto essenzialmente alle caratteristiche degli ibridi africanizzati che, rispetto alle api europee, godono oggi di numerosi vantaggi:

- costruiscono i favi molto più velocemente delle europee;

- iniziano a volare prima la mattina e terminano di bottinare più tardi la sera;

- sono molto più resistenti alle malattie in genere e alla varroa in particolare;

- hanno maggiori capacità di impollinazione;

- a parità di fioriture accumulano più miele;

- sono molto adatte ai climi caldi;

- producono molta più propoli.

Questi dati - peraltro confermati anche a livello scientifico (vedi, ad esempio, David De Jong "L'ape africanizzata in Brasile: quarant'anni di adattamento e di successi" Bees Word 77(2), pp. 67-70, 1996) - non possono che farci piacere. Ma da parte nostra - diciamolo subito - non proviamo alcuna invidia per gli ottimi risultati produttivi dei nostri colleghi Brasiliani. Anche perché il prezzo pagato per questo sconsiderato esperimento di ibridazione è stato davvero troppo alto. E pochi chilogrammi di miele in più non ci faranno certo cambiare idea sui pericoli che ogni forma di ibridazione o di futura manipolazione genetica (a quando la notizia di una nuova ape transgenica?) può portare con sé.

Damiano Lucia


SCHEDE

Le misure di sicurezza da adottare in un apiario di api africanizzate

Almeno a 3 km dalle strade, altrettanti da qualsiasi abitazione e dai centri abitati. Queste, in sintesi, le indicazioni su dove piazzare gli apiari africanizzati contenute nel manuale "Guida pratica su come trattare le api africanizzate" realizzato a Panama da Robert Bailey e Douglas Anderson. Il manuale, scritto in un linguaggio molto semplice e illustrato da numerosi disegni esplicativi, è stato redatto con il supporto del locale Ministero dell'Agricoltura e del Smithsonian Tropical Institute. Lo scopo è di sensibilizzare gli apicoltori del Centro America sulle norme indispensabili di prudenza da attuare per ridurre al minimo i rischi di danni ad animali e persone.

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Le differenze tra l'ape africanizzata e l'ape europea

1. Hanno la medesima struttura, ma sono di dimensioni lievemente più piccole e in genere di colore più scuro;

2. Volano più rapide;

3. Iniziano i voli la mattina molto presto e smettono di volare più tardi;

4. Nervose, corrono sui favi;

5. Hanno un alto livello di riproduzione (sciamano più volte l'anno);

6. Sono molto più propense al saccheggio;

7. Più aggressive, attaccano in gruppi grandi e dopo essere state disturbate rimangono in stato di allarme anche per 24 ore;

8. Inseguono a lungo chi le molesta con una zona di difesa dell'alveare che spesso raggiunge il raggio di un chilometro

9. Molto meno prevedibili nelle reazioni durante le fasi di manipolazione dell'alveare.

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Trecento chilometri l'anno

Dal giorno della fuga accidentale di 26 sciami dall'apiario brasiliano di Piracicaba (avvenuto nel 1957), le api africanizzate hanno dato inizio a una vera e propria invasione di tutto il territorio americano. In soli sei anni (1963) le famiglie africanizzate erano già diffuse in un'area di migliaia di kmq. Nel 1966 erano già arrivate in Paraguay e Uruguay. Nel 1975 più della metà del continente Sud Americano era interessato al fenomeno. Da allora la diffusione della specie è continuata a un velocità di circa 300 km all'anno. Nel 1985 sono arrivate in Honduras e nel Salvador. Nel 1986 c'è stato il passaggio della frontiera tra Guatemala e Messico. Nel 1990 praticamente tutto il Messico ne era invaso. Sempre nel 1990 l'ape africanizzata è arrivata in Texas, nel 1993 in Arizona e New Messico, nel 1994 in California e Puerto Rico, nel 1998 in Nevada. Le previsioni per il futuro parlano di un areale che - con la sola esclusione delle zone montane a clima più freddo - dovrebbe assestarsi su una superficie che si estende dal centro/nord dell'Argentina sino a tutti gli stati costieri degli U.S.A., oltre a tutti quelli confinanti direttamente col Messico. Nel Canada - dicono gli esperti - l'ape africanizzata non dovrebbe arrivarci e nemmeno dovrebbe trovare condizioni climatiche che le permettano di sopravvivere. Ma a ogni buon conto le frontiere canadesi con gli U.S.A. sono state da tempo chiuse ad ogni transito di api provenienti dagli Stati Uniti.

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Aggressive, ma in compenso resistenti alla varroa

La figura sopra riportata fa riferimento a un recente studio realizzato da Rémy Vandame, Marc Colin (INRA, Station de Zoologie & Aidologie, 84914 Avignon cedex 9, Francia) e da Gabriel Otero Colina (Istituto de Fitosanidad, Campus Còrdoba, 94500 Còrdoba, Messico) sulla tolleranza delle api africanizzate alla Varroa. Analizzando i dati sulla popolazione di varroe presenti in due apiari (uno di api europee e l'altro di africanizzate) è stata evidenziata una evidente capacità da parte delle api africanizzate di mantenere, per gran parte dell'anno, la popolazioni di varroe al di sotto dei 2.000 individui: ben al di sotto quindi del livello di soglia ritenuto grave per lo sviluppo delle famiglie.

nota:

1. La linea rossa fa riferimento al numero totale di varroe presenti, mentre la linea blu indica l'andamento mensile del numero di varroe foretiche (le varroe presenti sulle api adulte) nelle arnie di api europee e africanizzate;

2. la freccia indica che nel mese di gennaio - per evitare la morte delle famiglie - è stato necessario rinforzare le arnie di api europee con l'apporto di circa 10.000 celle di covata non infestata.