Il destino dell’ape ai giorni nostri


Di Gianni Savorelli & David Baracchi*
Quasi breve excursus sui vari stadi di vita dell’ape, sui patogeni che l'assalgono, sulle relative difese messe in atto dall’ospite e sui possibili effetti sulla riduzione della vita e sulla capacità lavorativa.
L’uovo L’ape nasce da un uovo la cui salute è direttamente influenzata da quella di chi lo ha deposto e dal padre che l’ha fecondato. L'uovo, già al momento della deposizione può “contenere” diversi tipi di virus (DWV, BQCV, SV, CBPV) nel caso in cui i suoi genitori, la regina o il fuco, ne fossero stati infetti.

La larva
Nello stadio successivo all’uovo, se la genetica e l’alimentazione glielo permettono, sembra che la futura ape, ora una larva, possa riuscire ad eliminare la presenza virale dalle sue cellule, inibendone la replicazione. Ciò lo si deduce dal fatto che vi è un numero inferiore di larve infette da virus rispetto a quello di uova infette deposte da regina (anch’essa infetta). Ciò nonostante, allo stato attuale delle conoscenze è realistico pensare che una larva su due cominci il suo percorso di sviluppo con una qualche presenza virale latente. Ciascun virus sopra citato (DWV, BQCV, SV, CBPV) può essere comunemente ritrovato nelle larve, e anche infezioni multiple sono altamente probabili: ciò aggrava sicuramente la situazione dato che lo sforzo immunitario della larva necessario alla loro contenimento diventa chiaramente superiore.
In questa età, in conseguenza del tipo di alimentazione che riceve e del tipo di patogeni che può contenere, la salute della larva può essere insidiata dal batterio sporigeno che provoca la peste americana (Paenibacillus larvae), da quello non sporigeno che provoca la peste europea (Melissococcus plutonius), dal fungo che provoca la covata calcificata (Ascosphaera apis), da Nosema ceranae (Traver 2012), da Nosema apis (o da co-infezione di entrambe le specie di Nosema) e da almeno quattro tipi di virus (DWV, BQCV, SV, CBPV).
La presenza di sostanze tossiche che si accumulano nella cera che le fa da culla non aiuta. La larva sta a contatto con essa e la conseguente necessità di continua detossicazione di queste sostanze costituisce un ulteriore elemento di stress che sottrae risorse immunitarie utili al contenimento dei patogeni presenti, che sono tanti, e ne possono approfittarne per proliferare. Si tratta in molti casi di infezioni non letali, ma comunque fastidiose e sinergiche e che non permettono alla larva uno sviluppo armonioso e nel pieno delle potenzialità.
Le difese della larva dai patogeni: minacciata da numerosi patogeni, la larva dispone tuttavia di vari tipi di strategie difensive, tutte quantitativamente e qualitativamente direttamente influenzate dalla sua genetica e da quel che riceve come pasto. La prima linea di difesa contro i patogeni che arrivano con il cibo risiede nell’intestino ed è costituita da peptidi (piccole proteine) antimicrobici prodotti dalle stesse pareti intestinali (Jefferson 2013) oltre che dalle pareti stesse che costituiscono una barriera meccanica. Nell’intestino sono inoltre presenti un’enormità di batteri simbionti e commensali di svariate famiglie che risiedono costitutivamente nell’ape senza arrecarle danno e che competono con i patogeni che nei fatti sono loro antagonisti per lo sfruttamento delle risorse disponibili. I batteri simbionti sembrano in grado di produrre una quantità di sostanze in grado di uccidere i patogeni dell’ape appena arrivati o di limitarne la presenza a volte senza che le difese dell’ape debbano scomodarsi.
Funzionalità delle difese derivanti dall’alimentazione (che permette l’espressione del sistema immunitario): questi peptidi (piccole proteine) con capacità antimicrobiche sono prodotti in particolari fabbriche biologiche del corpo dell’ape: queste fabbriche a seconda della genetica dell’ape possono avere una capacità produttiva più o meno grande, ma per potersi esprimere al meglio devono ricevere i rifornimenti di materia prima da trasformare, ovvero aminoacidi e proteine, entrambi contenuti nella pappa delle operaie e nel polline. Si intuisce facilmente che più ne arriva alla larva e migliore è la qualità meglio è. In parallelo però il cibo può anche contenere i patogeni citati in conseguenza del fatto che chi lo ha prodotto ne può essere portatore e deve, suo malgrado, subirne la proliferazione. Tuttavia, anche negli organi dei soggetti malati vi è una continua lotta dato che le varie sostanze presenti nel circuito alimentare dell’ape sono in grado di avere effetti letali sui patogeni.
Capacità auto disinfettante degli alimenti: miele e pappa reale a seconda della loro composizione e dalla materia prima con la quale vengono prodotti possono ridurre la carica batterica (gran parte dei patogeni). Normalmente infatti, alla larva arriva un alimento “sterile” e sterilizzante che è in grado, tra le altre cose, di sostenere il costo delle difese immunitarie della stessa. Per la larva, la quale si trova a dover gestire solo le infezioni pregresse, questa è sicuramente la condizione ottimale.
In altre situazioni tuttavia, miele e pappa, sempre in relazione a come e dove vengono prodotti e allo stato di salute delle api nutrici, possono avere ridotte capacità disinfettanti e talvolta essere carenti di particolari elementi fondamentali. Il risultato è che alla larva arriva dall’esterno anche un maggior carico di patogeni mentre le proprie difese non sono in grado di esprimersi al meglio. La sua fitness peggiora. Il suo sistema immunitario deve attivarsi e darsi da fare, sottraendo energie altrimenti disponibili per lo sviluppo e la crescita. La conseguenza è che la “macchina biologica” tende ad accumulare logorii sempre crescenti fino al caso limite in cui l’ape, ancor prima di diventare adulta, muore. Vi è poi da dire che l’attivazione del sistema immunitario produce stress ossidativo, ovvero produce molecole reattive e dannose (ROS) - ed altro - che dovranno essere neutralizzate da adeguati antiossidanti. Per cui l’ape, durante tutto i corso della sua vita, dovrà necessariamente aver accesso a sostanze antiossidanti per non incorrere ad invecchiamento precoce con conseguente riduzione dell’aspettativa di vita indotto da stress ossidativo.
Fino ad ora siamo stati tutti abituati a percepire le api come vive fino a quando non sono morte: forse ciò non basta più. E’ necessario imparare a pensare ad api più o meno malate con salute più o meno cagionevole e con durata di vita più o meno ridotta, esattamente come si farebbe andando a trovare un amico in ospedale guardandolo tremolante andare in bagno piano piano. Non si penserebbe che gli sia possibile fare otto ore in miniera tutti i giorni, ed allo stesso modo non si deve pensare che api debilitate possano produrre come matte e contribuire a pieno alla sopravvivenza dell’alveare. Per cui si deve operare in modo che le api siano il meno malate possibile.
Auto disinfezione del miele: dipende sia dalla qualità del nettare raccolto che dai tipi di polline con cui viene elaborato. Sostanze come la glucosiossidasi che producono acqua ossigenata derivano dal polline. Antimicrobici e altre sostanze nutritive presenti nella pappa reale derivano in parte dal polline raccolto e sono influenzate dalla qualità e variabilità dello stesso.

Pre-pupa e pupa
Poco prima dell’opercolazione - può capitare che a questa età alcune larve ricevano la visita dell’ospite indesiderato che tutti conosciamo (Varroa) e la loro vita, a questo punto peggiorerà repentinamente. Diventeranno delle fabbriche di virus (tanto più quanto le consorelle forniranno loro alimento dopo la nascita - Aloux 2012) che tenderanno ad infettare prole, adulti, cibo e ambiente “colonia” in generale. Anche nel periodo corrispondente a questa età si manifestano gli effetti letali indotto da molti patogeni batterici, dal fungo che provoca la covata calcificata, dal virus della covata a sacco SV e verosimilmente dal virus BQCV. DWV non produce di norma effetti letali neppure in presenza di una ragionevole quantità di varroa, ma danni esterni caratteristicamente visibili e notevoli danni interni. Lo stesso può avvenire anche per quantità elevate di virus DWV arrivate attraverso il cibo (Desai 2011). In alternativa alla morte la pupa può rimanere portatrice “sana” dei vari patogeni. Si avrà presenza di batteri, funghi e virus nell’apparato digerente e virus in altri organi e distretti del corpo con svariati handicap. L’ape adulta, se mai arriverà a completare lo sviluppo, sarà spesso del tutto non funzionale, con enormi costi per la colonia in termini di efficienza lavorativa e rischio di epidemie.
La celletta ovvero ambiente di allevamento: se è freddo per l’ape sarà tutto più difficile e nascerà più suscettibile ai patogeni e ai fitofarmaci, per non parlare dei deficit cognitivi e di orientamento che presenterà da bottinatrice. Tuttavia il riscaldamento è gestito dalle altre api, non dal diaframma o dai favi “stretti”.

L’ape nasce adulta
Alla nascita non ha più batteri simbionti, eliminati con le feci e che ritorneranno in seguito insieme al cibo proteico (Spivak) ma può avere un carico latente di patogeni (virus in particolare). Anche se l’ape neo-sfarfallata sembra spesso apparentemente normale è oggi da abbandonare l’idea che sia un’ape totalmente sana almeno in un caso su due, e di conseguenza la sua aspettativa di vita sarà in media soggetta ad accorciamento, mentre la sua capacità lavorativa risulterà compromessa. Può, soprattutto ma non solo, avere un carico virale più o meno consistente che innesca infezioni più o meno silenti ogni volta che si trova in condizioni di stress (e per stress si intendono molte cose, dagli sbalzi termici e dalle carenze nutrizionali che condizionano l’espressione immunitaria al contatto con sostanze tossiche, non escluse quelle necessarie per il controllo della presenza numerica di Varroa). Con l’attività lavorativa all’interno del favo, l’ape (che si occuperà anche della pulizia dei favi e della rimozione di eventuali cadaveri o prole infetta) può assumere un ulteriore carico di patogeni. Esattamente come durante lo stadio larvale, l’ape adulta potrà imbattersi in cibo contaminato.

L’ape giovane (la nutrice)
Ha queste caratteristiche: Della nutrice si può dire che sia il tipo di ape più forte dell’alveare dato che elabora polline producendo pappa destinata ad api operaie di varie età e alla regina. Per questo ha difese immunitarie ben sostenute dalla buona alimentazione e pienamente funzionali. Inoltre non esce quasi mai dall’alveare e ciò riduce lo stress a cui è sottoposta.
Nell’esercizio della sua attività non è certo esente da rischi e può ricevere e trasmettere (compiendo la trofallassi) Nosema, Virus, e batteri e funghi (dei quali è portatrice sana anche se non è noto a quale costo). Varroe foretiche la frequentano abitualmente e possono nutrirsi su di lei. Dalla Varroa può ricevere virus, e allo stesso modo può anche essere lei che infetta l’acaro. Dalle ferite che la varroa le provoca per nutrirsi (le quali di per sé innescano attivazione del sistema immunitario) si possono veicolare all’interno del suo corpo altri virus, i quali per questa via mostrano il massimo della loro virulenza.

Ape di età intermedia (ricevitrice di nettare prima di divenire essa stessa bottinatrice)
Ha queste caratteristiche: comincia ad avere un sistema immunitario meno efficiente, scorte di proteine inferiori e la sua alimentazione proteica dipende ora da quanto le viene offerto dalle nutrici, che insieme alla pappa da operaia le possono passare virus di tutti i tipi. E’ realisticamente meno a contatto con la varroa, ma largamente a contatto con le bottinatrici dalle quali può ricevere ingenti quantità di Nosema e BQCV. Per la ricevitrice il cibo proteico è fondamentale, più che per uso personale, per miscelarlo al nettare e produrre un miele con elevata attività antibiotica, coadiuvante per il rafforzamento del sistema immunitario individuale con contemporanea funzione antiossidante.

L’ape vecchia (la bottinatrice)
Ha queste caratteristiche: l’ape comincia a foraggiare in età variabile (a seconda delle esigenze della famiglia); ha questo tipo di compito, che è il più rischioso e il più determinante per la sorte dell’alveare, “con più nulla da perdere“. Il suo corpo ha talune difese immunitarie indebolite, scorte proteiche ridottissime e proprio dal punto di vista proteico “si accontenta degli avanzi degli altri “ ricevendo, tra un volo e l’altro, dalle nutrici ciò che rimane. Come per un atleta, tutto ciò che ha come riserva lo brucerà nel tempo della gara e la gara dura finché ne ha. Eppure anche per la bottinatrice il cibo proteico è fondamentale per inserirlo - in parte ad inizio fabbricazione - nel miele. E’ la più esposta al Nosema ceranae e può essere soggetta a virosi (derivanti dal carico virale che ha accumulato nel corso della sua vita) che possono esplodere in conseguenza di stress tipici della sua attività, di contatti con fitofarmaci o da “ stanchezza immunitaria”che possono arrivare a essere letali in brevissimo tempo come per IAPV. La sua condizione di salute, al di là dell’apparenza, può essere precaria, usurata da tutte le “influenze”, i “ raffreddori” e i “mal di pancia” che ha sopportato nella sua vita, così come la sua capacità lavorativa. Ma al contrario, dalla durata della sua vita e dalla capacità di lavoro dipende buona parte del futuro dell’alveare (Khoury 2013). Insomma anche per le api è vero che campa di più e meglio chi risulta sottoposto a meno grattacapi nella vita e dispone fin dalla più tenera età di tutti gli agi del mondo. Chi stenta sin da bambino non ha un avvenire radioso.
La durata e la qualità della vita della singola ape sono determinanti per il successo nel foraggiamento (ovvero raccolta di polline, nettare e propoli) e da quest’ultimo dipende direttamente la sopravvivenza dell’alveare. La durata di vita dell’ape dipende dalla qualità di ogni suo stadio di sviluppo, a partire dal giorno in cui l’uovo viene deposto, ed in particolare dalla quantità e dal tipo di patogeni con cui viene a contatto durante ciascuna fase. Da quello che la ricerca scientifica ci mostra viene perciò ad essere profondamente modificata l’ottica con cui l’apicoltore vede sia l’alveare che ogni suo singolo componente in ogni fase della sua vita. Ogni singolo punto della vita dell’ape dovrebbe essere migliorato, per quanto possibile, rispetto a quanto mediamente accade per poter ritornare di nuovo ai massimi risultati in termini produttivi e di sopravvivenza delle famiglie.
*Dr. David Baracchi research activity is currently supported by a Marie Curie Intra European Fellowship within the 7th European Community Framework
programme.


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