Gian Battista Marino

       ADONE         CantoV

1.      L' umana lingua è quasi fren, che regge
         de la ragion precipitosail morso.
         Timon, ch'èdato a regolar con legge
         de la nave de l'almail dubbio corso.
         Chiave ch' apre ilpensier , man che corregge
         de la mente gli errori, e del discorso.
         Penna e pennello,che con note vive,
         e con vivi color dipingee scrive.
 
 

2.      Istromento sonoro, or grati, or gravi,
         or di latte,or dimèl sparge torrenti.
         Son del suo dire inun fieri e soavi
         tuoni le voci, e fulminigli accenti .
         Accoppia in séde l'Api e gli aghi e i favi,
          atti a ferire,a raddolcir possenti .
         Divin suggel , chementr'esprime i detti,
         imprime altrui neglianimi i concetti. 
 
 
 
Passo dedicato alla lingua, che 
viene esaltata come mezzo per controllare
la ragione, come dote quasi divina che serve 
per trasmettere agli altri il proprio pensiero.

 

1.  La lingua umana ècome un freno che controlla il morso della ragione precipitosa. E' comeun timone che è posto per dare regole al dubbioso corso della navedell'anima . E' chiave che rivela i pensieri, una mano che   corregge gli errori della mente e del discorso. E' come una penna e unpennello, che dipingono e scrivono con note vive e colori vivi. 

2. La lingua è uno strumento sonoro che sparge torrenti di parole,ora gradite, ora serie, ora piacevoli, ora dolci. Le voci sono soavi tuonie gli accenti sono fulmini nel continuo divenire delle parole. La linguaunisce in sè i favi e i pungiglioni delle api , sia pronti a feriresia capaci di addolcire .La lingua è un sigillo divino che, mentresi esprime, trasmette i concetti negli animi altrui. 
 
 
 

 

                    Canto VI

28.    Per l'occhio passa sol, per l'occhio scende
         qualunque l'alma imaginericeve,
         e di quant'ella vedee quanto infende 
         quasi l'obligo tuttoa l'occhio deve.
         L'occhio , com'apesuol, che coglie e prende 
         i più soavifior leggiadra e lieve,
         scegliendo il belde la beltà che scorge,
         a l' interno Censorl' arreca e porge.
 
 

145.  Lagrimette e sospir calde e vivaci
         d'aure in vece tisieno, e di rugiade.
         Angeli sien del Ciell'Api predaci 
         che rapiscan l'umorche da te cade;
         e mille in te stampandoardenti baci
         di devote dolcezze,e di pietade,
         dal fiel che ti dipingeamaro e grave 
         traggono a' nostriaffanni il mèl soave.
 

C. VI

        188. Con queste ciance, delsuo fallo stolto
               campò la pena il lusinghier crudele.
               Ma per altra follia non andò molto
               ch’ a me tornò con gemiti e querele.
               Vassene in un querceto ombroso e folto
               ne’ giardini di Gnido a coglier mèle,
               e seco a depredar gli aurei fialoni
               van gli alati fratelli in più squadroni.
 

         189. E perché‘l dolce de’ licor soavi
                Orso o Mosca non è che cotant’ ami,
                cerca de’ faggi opachi i tronchi cavi,
                spia de’ frassini annosi i verdi rami.
                E nel pedal d’ un’ elce ecco duo favi
                vede coverti di pungenti essami.
                Vulgo d’Api ingegnere accolto in quella
                sta sussurrando a fabricar la cella.

          190. Chiama icompagni, e lor la cova addita
                 che la ruvida scorza in sé ricetta.
                 Corre dentro a ficcar la destra ardita,
                 ma la ritira poi con maggior fretta.
                 Folle chi cani attizza, o vespe irrita,
                 che non si sdegnan mai senza vendetta.
                 Pecchia d’ acuta spina armata il morse,
                 ond’ ei forte gridando a me ricorse.

          191. E de laguancia impallidito l’ ostro,
                 di timor, di dolor palpita e langue.
                 ‘’Madre madre’’ mi dice ‘’unpicciol mostro’’
                  e mi scopre laman tinta di sangue
                ‘’un, che quasi non ha dente né rostro,
                 e sembra d’oro, e punge a guisa d’ angue,
                 minuto animaletto, alata Serpe
                 hammi il dito trafitto in quella sterpe’’.

           192. Io,che’ l conosco, e so di che fier’ aghi
                  s’ armi sovente, ancor che vada ignudo,
                  mentre che i lumi rugiadosi e vaghi
                  gli asciugo, e la ferita aspra gli chiudo,
                  ‘’Che d’ animal sì picciolo t’ impiaghi’’
                   rispondo ‘’il pungiglion rigido e crudo,
                   da pianger, figlio, o da stupir non hai.
                  E tu fanciullo ancor che piaghe fai?’’ 

 

28.  Tutto ciòche l'anima vede e comprende passa obbligatoriamente dalla vista .
La vista , com'è solita l'ape , che leggiadra e leggera raccogliei più bei fiori , scegliendo il meglio di tutta la  bellezzache vede , lo porge e lo offre al giudice interno.

145. In te vi siano piccole lacrime e sospiri caldi e vivaci inveced'aria e di rugiada . 
 Siano angeli nel cielo le api , che predano , che prendono l'ispirazioneche cade da te , dandoti mille baci di devota dolcezza e pietà;dal veleno che ti rende amaro e grave traggono fuori il miele soave , curadei nostri affanni.

 

Canto VII

154. Così per Hibla a la novella estate 
         squadra di diligentiapi si vede ,
         che le lagrime dolcie delicate 
         di Narciso e di Aiacea sugger riede.
         Poi ne le bianchecelle edificate
         vanno a ripor le rugiadoseprede.
         Altra a comporre ilfavo, ed altra schiera 
         studia dal mèlea separar la cera.

155.  E' tutta in moto la famiglia , or vanno
          quei che curanoil pasto , or fan ritorno.
          Alcuni Amoria ventilar vi stanno
          con ali aperte, e sferzan l'aure intorno.
          Le quattro figliedel fruttifer Anno
          per far in tuttoil bel convito adorno 
          recan d'ognistagion tributi eletti ,
          e son diversed'abiti e d' aspetti.
 


154. Così nella nuova estate sui monti Iblei si vede una squadradi api diligenti , che succhiano le lacrime dolci e delicate di Narcisoe di Aiace. Poi vanno a portare il raccolto bagnato dalla rugiada nellebianche celle , che hanno costruito. Un altro gruppo di api compone ilfavo , un'altra schiera  separa il miele dalla cera.
 

155. Tutta la famiglia è in movimento, ora vanno coloro che sioccupano del nutrimento , ora sono di ritorno. Stanno a far vento alcuniamori con le ali aperte e tagliano l'aria intorno.Le quattro stagioni dell'annofruttifero per adornare il convito portano doni scelti e tra loro sonodifferenti per le vesti e per l'aspetto.
 

        Canto VIII 

5.       Suggon l’ istesso fior ne’ pratiHiblei
         Ape benigna e Viperacrudele,
         e secondo gl’ instintio buoni, o rei,
         l’ una in tosco ilconverte, e l’ altra in mèle.
         Or s’averràch’ alcun da’ versi miei
         concepisca veleno,e tragga fele,
         altri forse saràmen fiero ed empio,
         che raccolga da lorfrutto d’ essempio.

6.      Sia modesto l’ Autor, che sien le carte
         men pudiche talor,curar non deve.
         L’ uso de’ vezzi e‘l vaneggiar de l’ arte
         o non è colpa,o pur la colpa è lieve.
         Chi da le rime mied’ Amor consparte
         vergogna miete, oscandalo riceve,
         condanni o scusi ilgiovenile errore;
         ché s’ oscenaè la penna, è casto il core.
 

 5.  L’ape benevola e la viperamalvagia succhiano lo stesso fiore nei prati Iblei, ed a seconda che illoro istinto sia buono, o malvagio, una lo tramuta in veleno, l’altra inmiele. Ora accadrà che qualcuno nei miei versi avverta del veleno,ene tragga del fiele, qualcun altro,invece,potrebbe essere meno ostile edingiusto,
traendo da questi un modello.

6.  L’autore sia modesto;se talvolta gli scritti sono poco discreti,non se ne deve preoccupare. L’utilizzo di leziosaggini e il vaneggiaredell’ arte non costituisce una colpa,al massimo solo una colpa lieve. Coluiche,dalle mie rime intrise d’Amore,raccolga vergogna, o si scandalizza,condanni o perdoni l’errore di gioventù; perché anche selo stile è osceno, l’animo è puro. 
 

    Canto  XIV 

147.   Tien certo che là dentro Adon s’ appiatti
          Orgonte, e pensapur come lo scopra.
          Vàsseneal buco, ove gran tempo fatti
          han l’ api industrii casamenti sopra.
          Fa che ciascunde’ suoi la zappa tratti,
          e chi la pala,e chi la marra adopra,
          stromenti chequel dì dopo i lavori
          quivi lasciatiavean gli agricoltori.

148.   Le pecchie allor, ch’a lavorare il favo
          stavano travagliandoentro i covili,
          quando picchiarsentiro il sasso cavo 
          da vomeri, davanghe, e da badili,
          s’ aventaroa lo stuol perverso e pravo
          con spine acutee stimuli sottili,
          e con tal furiae tanta stizza usciro,
          che n’ ucciseromolti e ne feriro.

149.   Ma quantunque salvatiche e superbe 
          trafigesserolor le mani e ‘l volto,
          il mal peròde le punture acerbe
          appo il dannomaggior non parve molto.
          Sparsesi ilmèl, che di pestifer’ erbe
          e di fior velenosiera raccolto,
          e quei che da’ladron non fur distrutti,
          gustando quellicor, moriron tutti.